giovedì 27 maggio 2021

Il poema epico cavalleresco - caratteristiche

                                         Il poema epico cavalleresco 


  • Il precedente più lontano di questo genere letterario è rappresentato dall’epica classica (èpos in greco significa ‘narrazione’), per cui qui basta ricordare i poemi attribuiti a Omero e l’Eneide di Virgilio.
  •  Nel Medioevo nasce l’epopea cavalleresca, che si ispirava ai nuovi principi del cristianesimo, primo fra tutti la difesa della fede, mescolati con i valori guerreschi della società feudale. L’esempio più noto è La Chanson de Roland, che celebra le gesta di Orlando, il famoso paladino di Carlo Magno, e la morte dell’eroe a Roncisvalle. 
  • Al ciclo cosiddetto carolingio si affiancano il ciclo bretone, con carattere più chiaramente avventuroso ed erotico, che cantava le gesta di re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda, e il ciclo classico, che riesumava con spirito medievale le imprese degli eroi di Troia e di Tebe, come pure di Alessandro Magno. 
  • Senza contare poi le saghe che celebravano le stirpi germaniche, anglosassoni, slave o le guerre della Spagna contro i Mori. Si tratta di un complesso di opere molto importanti anche sul piano linguistico, perché rappresentano le prime espressioni letterarie dei volgari neolatini e di altre lingue moderne.

DEFINIRE L'UMANESIMO // LE DONNE POETE

 Parole chiave del medio evo:

Età di mezzo?
invasioni barbariche
feudalesimo
cattolicesimo
castelli e conventi
passaggio dal latino ai volgari
nascita delle letterature nazionali
codificazione dei generi letterari
spopolamento delle campagne, urbanizzazione
Impero
liberi Comuni
cattedrali: affreschi e vetrate
allegoria
predicazione
pellegrini
mercanti
senso del peccato e mortificazione del corpo
"nascita" del purgatorio
Peste

Parole chiave dell'Umanesimo
Signorie
Banche
Da Dio... all'Uomo
Il libro e la trasmissione del sapere

giovedì 26 novembre 2020

Dante Alighieri : chi era, come era?



Ritratto di Dante da parte di Boccaccio:
brano tratto da G. Boccaccio, Vite di Dante, a cura di P.G. Ricci, Milano, Mondadori, 2002, p. 31.

Boccaccio, fedele al modello delle biografie di epoca classica, descrive nella "Vita di Dante" prima l'aspetto fisico del poeta e poi offre un quadro delle sue qualità morali e intellettuali
Analizza il ritratto di Dante fatto dal Boccaccio individuando le caratteristiche del poeta e gli elementi della personalità dantesca che più affascinano il Boccaccio, integrando l'analisi con le tue conoscenze sulla vita di Dante.


"Fu adunque questo nostro poeta di mediocre [media] statura, e, poi che alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto, ed era il suo andare grave e mansueto [solenne e composto], d'onestissimi panni sempre vestito in quello abito che era alla sua maturità convenevole. Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi [più] grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso. […]
Ne' costumi domestici e publici mirabilmente fu ordinato e composto, e in tutti più che alcuno altro cortese e civile.[…]
Niuno altro fu più vigilante [impegnato]di lui e negli studi e in qualunque altra sollecitudine il pugnesse [e in qualunque altro impegno lo stimolasse]; intanto che più volte e la donna e la sua famiglia se ne dolsono […]
Sommamente si dilettò in suoni e in canti nella sua giovinezza […]
Quanto ferventemente esso fosse ad amor sottoposto, assai chiaro è già mostrato. Questo amore è ferma credenza di tutti che fosse movitore del suo ingegno […]
Dilettossi similmente d'essere solitario e rimoto dalle genti, acciò che le sue contemplazioni non gli fossero interrotte […]
Ne' suoi studi fu assiduissimo, quanto è quel tempo che ad essi si disponea [per tutto il tempo in cui vi si dedicò], intanto che niuna novità che s'udisse, da quegli il poteva rimuovere.[…]
Fu ancora questo poeta di meravigliosa capacità e di memoria fermissima e di perspicace intelletto […]
D'altissimo ingegno e di sottile invenzione [creatività] fu similmente, sì come le sue opere troppo più manifestano agl'intendenti che non potrebbono fare le mie lettere [i miei scritti]"

mercoledì 11 novembre 2020

Ancora Guido? Amicizia e vita da studenti

Guido, i' vorrei...: il testo del famoso sonetto


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Dante, studente a Bologna tra l'estate del 1286 e l'estate del 1287, vi compone il sonetto 
"Non mi poriano già mai fare ammenda", 

che compare in un Memoriale bolognese già nel 1287 ed è inserito nelle Rime al numero LI

Non mi poriano già mai fare ammenda
del lor gran fallo gli occhi miei sed elli
non s’accecasser, poi la Garisenda
4torre miraro co’ risguardi belli,

e non conobber quella (mal lor prenda!)
ch’è la maggior de la qual si favelli:
però ciascun di lor voi che m’intenda
8che già mai pace non farò con elli;

poi tanto furo, che ciò che sentire
doveano a ragion senza veduta,
11non conobber vedendo; onde dolenti

son li miei spirti per lo lor fallire,
e dico ben, se ’l voler non mi muta,
14ch’eo stesso li uccidrò que’ scanoscenti!



Vedi il commento a questo link Treccani: 
http://www.treccani.it/enciclopedia/non-mi-poriano-gia-mai-fare-ammenda_%28Enciclopedia-Dantesca%29/

martedì 3 novembre 2020

Guido Cavalcanti

Chi è questa che vèn ch'ogn'om la mira,
che fa tremar di chiaritate l'are
e mena seco Amor, sì che parlare
null'omo pote, ma ciascun sospira?

O Deo, che sembra quando li occhi gira!
dical'Amor, ch'i' nol savria contare:
cotanto d'umiltà donna mi pare,
che ogn'altra ver' di lei i' la chiam' ira.

Non si poria contar la sua piagenza,
ch'a le' s'inchin' ogni gentil vertute,
e la beltate per sua dea la mostra.

Non fu sì alta già la mente nostra
e non si pose 'n noi tanta salute,
che propiamente n'avian canoscenza. 

ANALISI DELLA POESIA (da FareLetteratura)

Guido Cavalcanti (circa 1259-1300) è l'esponente più significativo dello stilnovo

sabato 24 ottobre 2020

lunedì 28 settembre 2020

Poesia lirica: dai provenzali, ai siciliani, ai tosco-emiliani



1) I provenzali e l'amore cortese (la fin'amor)

sabato 16 maggio 2020

Corti e Signorie

(tratto da Beatrice del Bo, Le corti nell'Italia del Rinascimento, Firenze University Press, 2011) 
Inizialmente, numerose Signorie si presentarono come "cripto-Signorie", cioè delle "Signorie nascoste"; infatti, queste non erano delle istituzioni legittime, ma erano appunto "nascoste". Vengono cosiddette poiché si aggiunsero alle istituzioni comunali senza mostrarsi apertamente e senza mostrare cambiata l'istituzione vigente. Con questa Signoria ancora in ombra (ma già forte) salirono al potere molti avventurieri, ma soprattutto famiglie di antica nobiltà cittadina. Queste, dopo aver governato per una o due generazioni, decisero di legittimare il loro potere e di renderlo ereditario. 

martedì 12 maggio 2020

Umanesimo - il libro al centro

    voce da TRECCANI ON LINE
    Umanesimo Periodo storico le cui origini sono rintracciate dopo la metà del 14° sec., e culminato nel 15°: tale periodo si caratterizza per un più ricco e più consapevole fiorire degli studi sulle lingue e letterature classiche, considerate come strumento di elevazione spirituale per l’uomo, e perciò chiamati, secondo un’espressione ciceroniana, studia humanitatis
    Si parla di u. filologico per distinguere, nel 14° e 15° sec., l’attività degli umanisti intesa al recupero, allo studio, alla pubblicazione dei testi classici, dall’attività di quegli stessi umanisti intesa più generalmente alla creazione letteraria e filosofica, all’elaborazione di una nuova civiltà. 
    Si parla poi di u. volgare in relazione allo sbocco storico dell’U., quando, nella seconda metà del 15° sec., gli ideali letterari di scrittura armoniosa e ornata sono trasferiti in Italia alle opere letterarie in volgare. Con riferimento, esplicito e implicito, all’U. quale periodo storico, il termine è usato infine per caratterizzare ogni orientamento che riprenda il senso e i valori affermatisi nella cultura umanistica: dall’amore per gli studi classici e per le humanae litterae alla concezione dell’uomo e della sua ‘dignità’ quale autore della propria storia, punto di riferimento costante e centrale della riflessione filosofica. 
    Intorno alla metà del 14° sec., e per impulso soprattutto di F. Petrarca, gli studi classici assunsero un carattere nuovo, il cui aspetto più appariscente fu la ricerca, nelle biblioteche chiesastiche e poi monastiche, dei codici antichi. Si manifestò, in pratica, l’esigenza di non contentarsi di quella parte della letteratura latina che era giunta sino allora per tradizione scolastica e culturale ininterrotta, ma di recuperare anche la parte di essa che era stata dimenticata. Si cercò, inoltre, di restituire le testimonianze della grecità che, salvo nell’Italia meridionale, erano state sino allora dovunque trascurate. Si accompagnò a questa ricerca lo sforzo di sostituire alla lingua latina, più o meno profondamente corrotta durante il Medioevo, la lingua dei classici, cioè di recuperare la latinità (in particolare quella virgiliana e ciceroniana) anche come strumento linguistico: il latino così diventò, proprio quando i vari volgari avevano prodotto capolavori, la lingua letteraria per eccellenza. 
    Nel costituire la sua ricca biblioteca, soprattutto durante la permanenza ad Avignone, punto d’incontro di varie correnti culturali, Petrarca esercitò un’azione decisiva nella storia testuale dei classici, sia scoprendo nuovi testi, sia riunendo in un unico corpo i documenti della tradizione manoscritta (come, per es., per Livio). A Petrarca si deve la scoperta (1333) di due orazioni ciceroniane, nonché il recupero delle epistole Ad Atticum e di un testo mutilo delle Institutiones quintilianee; a Boccaccio le riconquiste, integrali o parziali, o la rivalorizzazione critica di testi di Varrone, Marziale, Apuleio, 
    Seneca, Ovidio, e soprattutto di Tacito. Seguì nel 1392, per opera di C. Salutati, la riscoperta delle epistole ciceroniane Ad familiares. Estremamente fecondo fu il primo Quattrocento: il solo P. Bracciolini scoprì, tra le molte altre,  il De rerum natura di Lucrezio, altre orazioni ciceroniane ecc. 
    Si può dire che tutto o quasi il patrimonio attuale di autori latini è stato scoperto o rimesso in circolazione nel Quattrocento; dopo, solo sporadicamente sono stati recuperati nuovi testi, sino alla fase di scoperte umanistiche greche determinata dalla papirologia.

      "...Aspetti che io ti dica di che genere di malattia si tratta? Ecco: non riesco a saziarmi di libri. E sì che ne posseggo un numero probabilmente superiore al necessario; ma succede anche coi libri come con le altre cose: la fortuna nel cercarli è sprone a una maggiore avidità di possederne. " 
                                      FRANCESCO PETRARCA A GIOVANNI ANCHISEO








venerdì 17 aprile 2020

CICERONE


UN VIDEO SU MARCO TULLIO CICERONE!
https://campus.hubscuola.it/discipline-umanistiche-2/latino/autori-in-video-cicerone/

LA SUA "LINEA DEL TEMPO"
https://procicerone.github.io/timeline/

LA CONGIURA DI CATILINA
https://www.youtube.com/watch?v=LDIw4u_S7Lk

l'ORAZIONE CONTRO CATILINA: PRIMA CATILINARIA
https://sites.google.com/site/marcotulliocicerone123/home/prima-catilinaria-1

FINALE PRIMA CATILINARIA: LA "PERORATIO"
https://campus.hubscuola.it/content/uploads/2019/08/c4_lat_cicerone2.pdf


IL POTERE DELLA PAROLA
https://www.youtube.com/watch?v=E0WRXJ3nRPU


Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?
Quam diu etiam furor iste tuus nos eludet? Quem ad finem sese effrenata iactabit audacia? Nihilne te nocturnum praesidium Palati, nihil urbis vigiliae, nihil timor populi, nihil concursus bonorum omnium, nihil hic munitissimus habendi senatus locus, nihil horum ora voltusque moverunt?
Patere tua consilia non sentis, constrictam iam horum omnium scientia teneri coniurationem tuam non vides?
Quid proxima, quid superiore nocte egeris, ubi fueris, quos convocaveris, quid consilii ceperis, quem nostrum ignorare arbitraris? (2) O tempora, o mores! Senatus haec intellegit. Consul videt; hic tamen vivit. Vivit?

martedì 10 marzo 2020

lunedì 20 gennaio 2020

Catullo


 
Sirmione, sul lago di Garda,la cosiddetta "villa di Catullo"


Biografia di Catullo

mercoledì 11 dicembre 2019

L'invenzione della scrittura - l'epopea di Gilgames'

La ziqqurat a URUK dove sono state ritrovate le tavolette di argilla




Dal poema epico sumero "Enmerkar e il Signore di Aratta" 

domenica 6 ottobre 2019

La civiltà esposta dei Romani



L'epigrafia si occupa di studiare tutti i "materiali iscritti "che ci sono pervenuti direttamente dall'età antica: l'accento deve essere posto proprio sul fatto che questi materiali ci sono giunti per via diretta dal mondo antico, a differenza delle fonti letterarie, tramandate indirettamente, attraverso la mediazione dei copisti medievali, ed oggetto di studio della filologia. AGli scritti che compaiono sulle monete sono invece studiati dalla numismatica, sebbene il tipo di scrittura capitale (cioè maiuscola) e le abbreviazioni siano del tutto simili a quelle che incontriamo nelle epigrafi.
L'epigrafia latina si occupa ovviamente delle iscrizioni in lingua latina.
Le prime iscrizioni latine risalgono al VII - VI sec. a.C. Nella dottrina scientifica è frequente il richiamo, a proposito delle più antiche manifestazioni epigrafiche della lingua latina, alla cosiddetta 
fibula Praenestina.

La fibula riporterebbe il testo latino arcaico Manios med fhefhaked Numasioi, il cui equivalente in latino classico sarebbe Manius me fecit Numasio; avremmo in questo caso il cosiddetto motivo dell'oggetto parlante: è la stessa fibula che parla, menzionando l'artigiano che l'ha eseguita e la persona cui l'oggetto era destinato. Sull'autenticità dell'iscrizione e della fibula stessa hanno da sempre pesato gravi sospetti. Secondo la grande epigrafista recentemente scomparsa, Margherita Guarducci, la fibula sarebbe un falso, frutto della truffaldina collaborazione tra uno studioso, Wolfgang Helbig, e un antiquario, Francesco Martinetti.
Il compito primario dello studioso di epigrafia è quello di pubblicare le nuove iscrizioni venute alla luce e di rivedere le vecchie pubblicazioni, di integrare le epigrafi che ci sono giunte in imperfetto stato di conservazione, sciogliere le numerose abbreviazioni che compaiono nei testi, e che non sempre sono immediatamente comprensibili, infine datare le iscrizioni
Ma i compiti dell'epigrafista non si fermano qui: egli dopo aver letto e pubblicato correttamente il documento deve anche illustrare il valore che questa nuova testimonianza ha nella ricostruzione storica del mondo romano; in questo senso i compiti dell'epigrafista finiscono per confondersi con quelli dello storico
Incontreremo frequentemente epigrafi tratte dal Corpus Inscriptionum Latinarum (abbreviato CIL), il grande progetto di raccolta di tutte le iscrizioni latine a noi note intrapreso nel secolo scorso dall'Accademia di Berlino sotto la direzione di Theodor Mommsen. Il CIL, al quale tuttora si continua a lavorare proponendo di tanto in tanto supplementi, è articolato in diversi volumi divisi per ambito cronologico, geografico e tematico (ad es. il volume XV contiene le iscrizioni da Roma su oggetti mobili, come anfore, vasi, lucerne, gioielli, etc., il cosiddetto instrumentum domesticum). (da www.telemaco.unibo.it)

venerdì 20 settembre 2019

Primo giorno di scuola con... Kafka

Lettura di ingresso





Franz Kafka "Un messaggio dell'imperatore"

L’imperatore – così si dice – ha inviato a te, al singolo, all’umilissimo suddito, alla minuscola ombra sperduta nel più remoto cantuccio di fronte al sole imperiale, proprio a te l’imperatore ha mandato un messaggio dal suo letto di morte. Ha fatto inginocchiare il messaggero accanto al letto e gli ha bisbigliato il messaggio nell’orecchio; tanto gli stavi a cuore che s’è fatto ripetere, sempre all’orecchio, il messaggio. Con un cenno del capo ne ha confermato l’esattezza. E dinanzi a tutti coloro che erano accorsi per assistere al suo trapasso: tutte le pareti che ingombrano sono abbattute e sulle scalinate che si ergono in larghezza stanno in cerchio i grandi dell’impero; dinanzi a tutti questi ha congedato il messaggero. Il messaggero s’è messo subito in cammino; un uomo robusto, instancabile; stendendo a volte un braccio, a volte l’altro fende la moltitudine; se incontra resistenza indica il petto, dove c’è il segno del sole; egli avanza facilmente come nessun altro. Ma la moltitudine è enorme; le sue abitazioni non finiscono mai. Come volerebbe se potesse arrivare in aperta campagna e presto udresti il meraviglioso bussare dei suoi pugni al tuo uscio. Invece si affatica quasi senza scopo; si dibatte ancora lungo gli appartamenti del palazzo interno; non li supererà mai, e se anche ci riuscisse nulla sarebbe ancora raggiunto; dovrebbe lottare per scendere scale, e se anche ci riuscisse nulla sarebbe ancora raggiunto; bisognerebbe attraversare i cortili, e dopo i cortili il secondo palazzo che racchiude il primo; altre scale, altri cortili; e un altro palazzo, e così via per millenni; e se riuscisse infine a sbucare fuori dal portone più esterno – però questo non potrà verificarsi mai e poi mai – si troverebbe ancora davanti la capitale, il centro del mondo, ricoperta da tutti i suoi rifiuti. Nessuno può uscirne fuori e tanto meno col messaggio di un morto. Tu, però, stai alla tua finestra e lo sogni, quando scende la sera.
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Un'altra traduzione QUI

Una possibile interpretazione: Nell’interpretazione kafkiana il palazzo, con le sue mura concentriche, le sale, i cortili, le porte di differente grandezza diventa un enigmatico labirinto, simbolo dell’assurda condizione dell’uomo contemporaneo, soffocato dagli ingranaggi della burocrazia.

lunedì 29 aprile 2019

CICERONE, SOMNIUM SCIPIONIS

Il Somnium Scipionis è  la conclusione del sesto e ultimo libro del De re publica di Cicerone, un dialogo filosofico composto dal celebre oratore tra il 54 (per alcuni 55) e il 51 a.C. e che ha per tema le forme possibili di governo di uno stato (monarchia, aristocrazia e democrazia). 
Il Somnium Scipionis, descrivendo il sogno di un viaggio ultraterreno da parte di Scipione l’Emiliano, presenta la figura ideale del princeps, che rispetta e tutela le istituzioni repubblicane di Roma e si impegna per il bene supremo della patria.

Il riferimento è al testo de La Repubblica di Platone, che termina con il mito di Er.

Il brano è narrato quasi esclusivamente in prima persona da Scipione Emiliano1. Giunto a Cartagine in qualità di tribuno, va a trovare il vecchio re Massinissa, amico di Scipione l'Africano 2 suo nonno adottivo. Accolto benevolmente dal sovrano, passa tutta la serata a parlare con lui delle imprese dell'avo. Una volta addormentatosi, Scipione riceve in sogno la visita dell'Africano, che gli espone la sua futura carriera politica.

A questo punto Scipione l'Africano, aiutato da Lucio Emilio Paolo, padre naturale dell'Emiliano, descrive il destino delle anime dopo la morte. A quelli che in vita sono stati buoni governanti è destinato un posto nella Via Lattea, dove possono godere la felicità eterna. Solo questa, per l’Africano, è la vera vita.
Procede poi con la  descrizione del cosmo e alla sua disposizione. Al centro di tutto si trova la terra, circondata dalle orbite dei sette pianeti (tra cui si annoverano anche il Sole e la Luna). Al di sopra di tutto si trova il cielo delle stelle fisse, che viene mosso direttamente dall’unica divinità. La sfera posta più in basso è quella della Luna. Al di sopra di questa tutte le cose sono eterne, al di sotto invece tutto è caduco e destinato a distruzione. Muovendosi, queste sfere producono un’armonia celestiale.

Il testo della Repubblica venne riscoperto dal cardinale Angelo Mai in un codice della Biblioteca Vaticana; sul testo ciceroniano era stato copiato, senza pregiudicarne completamente la lettura, un’opera di Sant’Agostino (tecnicamente, si tratta quindi di un codice palinsesto). Per questo suo merito culturale, Leopardi gli dedicò la canzone Ad Angelo Mai (1820).

martedì 29 gennaio 2019

Paolo e Francesca (Inf V) per Borges e altri due studiosi




JORGE LUIS BORGES

INFERNO, V, 129

Lascian cadere il libro, ormai già sanno
che sono i personaggi del libro.
(Lo saranno di un altro, l'eccelso,
ma ciò ad essi non importa).
Adesso sono Paolo e Francesca
non due amici che dividono
il sapore di una favola.
Si guardano con incredulo stupore.




sabato 26 gennaio 2019

L'inferno di Dante e quello di Primo Levi

 



Una lettura parallela di grande intensità è quella che si può costruire tra un testo del medioevo come la Commedia, in particolare l'Inferno, e un testo del novecento che è Se questo è un uomo di Primo Levi.

Tra le tante proposte in rete (basta digitare "Dante e Levi"), un possibile percorso è molto ben spiegato in un articolo che riporta l'esperienza in classe di Cinzia Ruozzi. 

E' molto ricco ed articolato. 

Lo si trova a questo link

https://iger.org/2012/01/31/dante-e-levi-percorsi-di-letture-parallele/


mercoledì 16 gennaio 2019

Inferno terzo


martedì 1 gennaio 2019

FONTI MEDIEVALI DELLA COMMEDIA

 (DA OILPROJECT)
Fonti medievali
Oltre alla cultura classica, filosofica e teologica, non possiamo però prescindere dalla conoscenza dantesca della sua contemporaneità e dalla diffusione di opere riportanti i racconti di leggende legati alla figura di Cristo e di santi. In questo senso, tra i testi che fanno da base alla Commedia ci sono leggendari medievali e raccolte di vite di santi quali la Legenda Aurea del domenicano Jacopo da Varazze (1238-1298), oppure testi appartenenti al filone del “viaggio ultraterreno” quali la Navigatio Sancti Brendani (IX-X secolo, di area irlandese) e la leggenda del Purgatorio di San Patrizio (opera di un monaco cistercense della fine del XII secolo) a cui bisogna aggiungere il filone delle visioni ultramondane. Per quanto riguarda testi più vicini a livello cronologico rispetto alla composizione della Commedia, della seconda metà del XIII secolo in poi, possiamo pensare al De Babilonia civitate infernali e al De Ierusalem Coelesti di Giacomino da Verona, al Libro delle tre scritture di Bonvesin de la Riva (1240 ca. - 1315 ca.) e al Libro dei vizi e delle virtù di Bono Giamboni (1235-1295), in cui il valore simbolico-allegorico del viaggio nell’aldilà acquista un preciso valore morale e didascalico.
 Fonti arabe
Molti critici, sulla scorta di alcuni studi di Maria Corti, sostengono oggi in maniera più convinta la conoscenza della cultura araba da parte di Dante, filtrata da una serie di traduzioni. Un esempio è sicuramente quello del Libro della Scala, opera escatologica in arabo in cui viene raccontata l’ascesa di Maometto al cielo, e tradotto successivamente, su commissione di Alfonso X di Castiglia in spagnolo, francese antico e latino (negli ultimi due casi, il lavoro venne commissionato a Bonaventura da Siena). Inoltre la diffusione della cultura araba in area italiana è testimoniata dalla presenza di studiosi, libri e persone alla corte di Federico II e nelle università, come Bologna e Padova, dove veniva discusso il commento di Averroè ad Aristotele.
SI PUO' APPROFONDIRE LEGGENDO UN'INTERVISTA A MARIA CORTI SU DANTE E L'ISLAM, QUI


Il Libro della Scala e le influenze arabe: una questione irrisolta 


(DA INTERNET CULTURALE)

fotografiaCon il titolo Libro della Scala si identifica un antico testo

 escatologico arabo-spagnolo che, sviluppando un celebre

 passo del Corano, racconta la storia del viaggio che

 Maometto compie nell’al di là, guidato dall’angelo 

Gabriele. Salito al Paradiso, attraverso una scala lucente

 che dà il nome all’opera, Maometto supera otto cieli, in ognuno dei quali incontra un profeta, e arriva a Dio, che gli affida il Corano. La narrazione prosegue con la visita delle sette terre infernali, alternando la rappresentazione dei tormenti con ampie digressioni dell’angelo Gabriele sul giorno del giudizio e sulla prova del ponte. Finito il cammino, Maometto fa ritorno sulla terra e rivela ai Meccani la sua visione.

Il testo, di cui non si è conservata la versione originale, ha conosciuto una straordinaria fortuna ed è citato con una certa frequenza almeno fino alla fine del XVI secolo. Dopo una traduzione in castigliano (anch’essa perduta), che Alfonso el Sabio fece eseguire intorno al 1264 dal medico giudaico Abraham, si sono susseguite, sempre per volere del re, almeno altre due traduzioni, affidate questa volta all’italiano Bonaventura da Siena: la prima, in latino, è attestata da un manoscritto che oggi è a Oxford, mentre la seconda, in francese antico, è tramandata da due codici, conservati rispettivamente uno alla Bibliothèque Nationale de France e l’altro alla Biblioteca Apostolica Vaticana.

La vicinanza tematica e, in qualche caso, anche formale della versione latina del testo arabo soprattutto con la prima cantica della Commedia ha indotto alcuni studiosi (Miguel Asìn Palacios, Enrico Cerulli, Maria Corti) ad includere il Libro della Scala nel vasto corpus delle fonti del poema e a riconsiderare l’ipotesi che l’escatologia (la scienza dell'oltreterreno) musulmana abbia esercitato una qualche influenza sulla scrittura dantesca. Ma si tratta di una questione ancora molto dibattuta e che incontra forti e motivate resistenze tra i dantisti.

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Le fonti della “Commedia”

 Giorgio PETROCCHI, Per conoscere Dante e la Divina commedia, Torino, 1988, pp. 33 -34


Il proposito, espresso al termine della Vita Nuova di dedicare all'amore per Beatrice una più degna trattazione, collegata ad "una mirabile visione", si inseriva in una tradizione letteraria di visioni allegoriche, tradizione che nella Commedia avrà un contenuto escatologico e una finalità profetica. 

Tutto ciò non era nuovo alla cultura del Medioevo, ricca di opere ispirate ai Vangeli, soprattutto a quelli Apocrifi: dalla Visio Sancti Pauli alla Navigatio sancti Brandani, dal Purgatorio di san Patrizio alla Visio Alberici e alla Visio Tungdali, sino a giungere ai poemetti in volgare molto diffusi nell'età giovanile di Dante, e cioè il De Jerusalem coelesti e il De Babilonia civitate infernali di Giacomino Veronese, il Libro delle tre scritture di Bonvesin da la Riva, il Libro de' Vizi e delle Virtudi del fiorentino Bono Giambani (quest'ultimo certamente più vicino alle consuetudini di lettura di Dante giovane).

 È stata poi avanzata l'ipotesi che Dante s'ispirasse ad un'opera musulmana, il Libro della Scala (tradotto dall'arabo in castigliano per ordine di re Alfonso), in cui si narra il mi'rag, cioè la salita al cielo di Maometto. 

Non è facile affermare di quante e quali “leggende”, nordiche o italiane od orientali, Dante avesse conoscenza diretta o impropria, anche se è indubbio che la vastissima tradizione letteraria non gli era nel complesso ignota; si può al massimo ritenere che qualche barlume di quelle letture, una sola immagine o una parte d 'immagine, siano rimasti nella sua “memoria” poetica così eccezionalmente prensile e durevole. Quel che va negato è che la Commedia in quanto tale possa essere stata concepita, strutturata ed espressa sulla base determinante di questa tradizione escatologica.

Le due vere “fonti” del poema sono l’Eneide di Virgilio, come costante ricordo d'una grande esperienza letteraria di descrizione di una discesa agl’Inferi, e la Bibbia, come somma di visioni profetiche, come grande costruzione mistico - visionaria. Accanto alle due “fonti” vere e proprie si colloca un'intensa lettura di classici pagani e cristiani, dall’Etica nicomachea e dalla Retorica di Aristotile al De officiis di Cicerone, dagli elementi morali insiti in Virgilio e in Stazio alle visioni mistiche dei Padri della Chiesa Occidentale, per giungere a sant’Alberto Magno, a san Bonaventura a san Tommaso d'Aquino: testi del tutto ignoti o comunque non operanti negli autori di poemi e poemetti duecenteschi. 
Sarà opportuno citare qualche esempio: l'idea di collocare il Paradiso terrestre sopra la vetta d'un alto monte è già nei Padri della Chiesa Orientale, e in san Bonaventura è presente l'idea di situarli in un'atmosfera pura; la struttura del Paradiso si riallaccia alla concezione di san Tommaso dei tre gradi conoscitivi.
 La topografia morale dell'Inferno è basata sullo schema aristotelico dei peccati. Il poema, che riflette intero ogni aspetto di Dante poeta, c 'è innanzi per testimoniare, con la prodigiosa varietà degli effetti come egli non leghi la propria poesia ad un particolare clima dello spirito; e perciò non può essere vincolato a schemi ristretti che ne impoveriscano la figura, facendolo poeta di questo o di quell'aspetto della vita spirituale. In realtà la Commedia trova la propria poesia nella più varia e complessa umanità in una serie pressoché infinita di sentimenti acutamente sofferti; e perciò il segreto per comprendere il tono molteplice di quella poesia sta nel conoscere Dante uomo e nell'individuare il nodo intorno al quale sta salda la sua personalità.






lunedì 26 novembre 2018

Dostoevskij LE NOTTI BIANCHE

- Pietroburgo per la sua latitudine è interessata dal fenomeno delle notti boreali, "bianche", tra fine maggio e fine giugno: la luce è ininterrotta dall'alba alle dieci di sera.


-Pietroburgo ha bellissimi palazzi costruiti da architetti italiani e si affaccia con molti ponti sulla Neva. L'acqua aumenta l'effetto luminoso.

lunedì 22 ottobre 2018

3 PLAUTO - PSEUDOLO



APPROFONDIMENTO SU PLAUTO DI CESARE QUESTA E RENATO RAFFAELLI


PSEUDOLO

Trama
Il giovane Calidoro è l’amante di Fenicia, una cortigiana del lenone Ballione. Tuttavia ella viene promessa ad un militare macedone in cambio di venti mine. Calidoro, allora, interpella Pseudolo, suo fedele ed astuto schiavo, il quale gli promette che riuscirà a trovare il modo per liberare Fenicia. Il servo pensa allora di rivolgersi, prima di tutto, a Ballione, dal quale viene a sapere che il militare gli ha già depositato un anticipo di quindici mine, con la promessa che il suo attendente Arpace gli avrebbe consegnato le restanti cinque portando con sé un sigillo prestabilito.
Pseudolo, fingendosi uno schiavo di Ballione, raggira Arpace e lo convince a consegnargli la lettera recante il sigillo. Grazie all’aiuto di Carino, amico di Calidoro, che gli offre le cinque mine restanti e con esse uno schiavo, Scimmia, Pseudolo può portare a compimento il suo piano. Scimmia, fingendosi Arpace, si presenta da Ballione il quale, cadendo nell’inganno, gli consegna Fenicia. Dopo poco arriverà però il vero Arpace. Ballione, questa volta, crede che questi sia stato mandato da Pseudolo per ingannarlo e, solo dopo l’arrivo di Simone, padre di Calidoro, il quale gli rivela tutto il piano ordito da Pseudolo, capisce di essere stato ingannato e di non poter fare più nulla. Calidoro, così, ottiene la sua amante e Pseudolo, come ricompensa, del vino in abbondanza.
Note di regia
Cicerone ci racconta che Plauto “si divertiva” (gaudebat) in vecchiaia nel comporre Pseudolus , rappresentata per la prima volta nel 191 a.C. quando Plauto aveva circa sessant’anni.
Come nel Miles Gloriosus, nello Pseudolus il servo è al centro della Commedia. Il servo di Plauto ha infatti ispirato nei secoli i più grandi autori teatrali come Molière, Ariosto, Goldoni, Shakespeare, Goëthe e Rossini; per questo, e non solo, si evince come Plauto sia il padre di tutto il teatro comico europeo.
Una messa in scena semplice, senza quarta parete; gli attori, dialogano tra loro, si rivolgono al pubblico e lo interpellano. Ne vien fuori un allestimento che lascia spazio all’improvvisazione, al gioco scenico.
Deverbia e Cantica accompagneranno gli spettatori negli intrecci Plautini messi in atto da personaggi grotteschi, anche grazie all’uso delle maschere che permettono agli attori di interpretare più personaggi.
I sentimenti e gli affetti sinceri, quando ci sono, sono comici e non commoventi, motivo per cui, le commedie di Plauto erano di certo le più applaudite.