1) I provenzali e l'amore cortese (la fin'amor)
Amore cortese (dal sito UCIIM)
Secondo la tradizione, il primo trovatore fu Guglielmo IX, duca d' Aquitania, grande
signore feudale amante della guerra e dei piaceri mondani, nella cui produzione
poetica compaiono già gli elementi che caratterizzarono l'originale concetto
trobadorico dell'amore: "l'amor cortese", anche chiamato verai' amor
(amore vero) o fin'amor (amore sublime).
Era un concetto rivoluzionario, in quanto la donna non era
più confinata in una posizione di totale inferiorità rispetto all'uomo, bensì
la poesia trobadorica le conferiva grande dignità, onore e rispetto. Essa
diventava l'incarnazione di qualità nobili e virtuose. Alcune canzoni
lamentavano la fredda indifferenza della dama nei confronti del
poeta-ammiratore: infatti, almeno in teoria, l'amore del trovatore doveva
rimanere casto, in quanto il suo obiettivo principale non era possedere la
dama, bensì il raffinamento morale che l'amore per lei gli ispirava. Per
rendersene degno, l'innamorato doveva coltivare umiltà, padronanza, pazienza,
lealtà e tutte le nobili qualità che la dama possedeva. In questo modo l'amore
poteva trasformare positivamente anche l'uomo più rude.
I trovatori credevano che l'amore cortese fosse la fonte del
raffinamento sociale e morale, che
gli atti cortesi e le nobili gesta nascessero dall'amore. Quest'idea venne
elaborata e diventò il fondamento di un intero codice di condotta che, con il
tempo, fu assorbito anche dalla gente comune. In contrasto con la società
feudale era iniziato un nuovo modo di vivere.
Molto spesso le liriche del poeta erano indirizzate alla
dama presso la cui corte egli prestava servizio. Essendo questa donna maritata,
il compositore doveva prestare attenzione ai termini di cui si serviva nelle
sue liriche ed esser molto cauto per evitare che coloro che avessero letto o
udito il suo componimento intuissero ed identificassero il soggetto delle sue
lodi. Per raggiungere tale scopo i poeti evitavano qualsiasi nominativo, che
sarebbe stato oggetto immediato di identificazione, preferendo riferirsi
all'amata tramite uno pseudonimo (detto senhal)
oppure si riferivano completamente ad altre donne, nonostante esse non fossero
le reali destinatarie dei pensieri del poeta, per proteggere l'identità
dell'amata. Si consideri anche che, per rigida imposizione della dottrina
cristiana, non veniva mai descritto l'aspetto fisico, o almeno non nella
corrente dei poeti cortesi, eccezion fatta per gli occhi, ritenuti lo specchio dell'anima.
Le uniche cose descritte della donna erano la bellezza dal punto di vista
spirituale e le virtù da essa mostrate.
Questo tipo di amore destinato a non poter esser
corrisposto, ma a rimanere soprattutto spirituale, porterà successivamente alla
donna angelicata, non solo posta su
un piedistallo, ma addirittura considerata alla pari di un angelo. I poeti
Stilnovisti toscani, provando amore per questa donna, erano in grado di
comprendere e di provare l'amore divino, la forma più elevata e sublime di
amore.
Sul tema vedi i siti:
http://www.parodos.it/letteratura/amorecortese.htm
http://www.uciimtorino.it/europa/c2_1_amore_cortese.htm
A. Benagiano, Amore cortese nella vicenda di Paolo e Francesca
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| Con la poesia dei trovatori si può far nascere la lirica moderna. |
Il nome trovatore deriva dal provenzale trobador, riconducibile al latino medievale tropatore ossia "inventore di tropi": il tropus è infatti un genere di componimento in versi che nel corso del XV secolo era particolarmente diffuso nel canto liturgico e in particolar modo nell'abbazia di San Marziale di Limoges.
La sua origine è riconducibile alle corti feudali in una civiltà "cortese" in cui il trovatore svolge la sua attività da professionista, provvedendo sia all'aspetto poetico sia a quello più strettamente musicale.
Le liriche erano dunque non erano destinate alla lettura bensì al canto e alla recitazione da parte dello stesso trovatore o di un giullare (dal latino joculator), che spesso popolava fiere e corti: si può anche pensare ad una divisione professionale dei compiti in cui al trovatore spettava un compito di compositore mentre al giullare era poi affidata l'esecuzione, sebbene tale distinzione non appare sempre così netta.
Arnaut Daniel
Poeta provenzale nato in Dordogna (Francia), nel vescovado di Périgord, e fiorito tra il 1180 e il 1210. Fu tra i maggiori seguaci di quel genere di poesia ermetica e tecnicamente ardua (trobar clus) che ebbe in Marcabruno il proprio iniziatore. Considerato da Dante, nel De vulgari eloquentia (II ii 9), come il trovatore più importante dopo Giraut de Bornelh e senz’altro il maggior compositore in lingua d’oc di poesie d’amore, Arnaut Daniel è celebrato in Purg. XXVI 115-26 come il principe non solo dei poeti (compreso lo stesso Giraut), ma anche dei prosatori volgari. I termini con i quali, per bocca di Guido Guinizzelli, viene espresso questo primato ("Versi d’amore e prose di romanzi / soverchiò tutti ...", Purg. XXVI 118-19) hanno indotto in passato alcuni studiosi a ritenere possibile che Arnaut abbia composto anche alcuni romanzi, andati poi perduti (ipotesi oggi completamente accantonata). Al virtuosismo metrico-stilistico della poesia arnaldiana Dante rende un esplicito omaggio anche in De vulgari eloquentia II ix-x, dove dichiara di aver derivato la tecnica compositiva della sua sestina Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra da quel tipo di stanza, usato da Arnaut in quasi tutte le sue canzoni, indivisa e priva di rime al suo interno (cobla dissoluta), nella quale ogni verso rima con il suo corrispettivo della strofa successiva (coblas unissonans). A. Tabucchi: Fabrizio De Andrè ultimo trovatore moderno
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2)
3) La scuola siciliana
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FEDERICO II
De arte venandi cum avibus di FEDERICO II di SVEVIA
Nacque a Jesi il 26 ottobre 1194 da Enrico VI e Costanza d’Altavilla. A soli tre anni fu coronato re a Palermo. Con l’appoggio d’Innocenzo III si riappropriò dei suoi diritti e fu coronato imperatore. Quando tornò nel suo regno di Sicilia si trovò a dover combattere su due fronti: da una parte i feudatari, ai quali tolse i privilegi, e dall’altra i Saraceni che esiliò a Lucera. Non volle andare alla Crociata e il papa Gregorio IX lo scomunicò. Ma lui dimostrò di aver ragione: il 16 dicembre 1229 raggiunse un accordo col Sultano Al Kamil. L’amicizia e i comuni interessi culturali fra i due sancirono una coesistenza pacifica. Nel 1224 fondava l’Università di Napoli, la prima struttura “laica” d’Italia. Un uomo d’interessi molteplici: dalla letteratura alle scienze, dall’astrologia alla filosofia. Fu definito "STUPOR MUNDI". Pose quesiti teologici e filosofici ai maggiori esponenti musulmani. Conosceva il latino, il volgare, il francese, il tedesco, il greco e l’arabo. Altre due annotazioni: nel 1230 fece tradurre a Napoli dall’arabo in latino l’Almagesto di Claudio Tolomeo. L’opera era stata tradotta dal greco in arabo nell’827 a Bagdad. L’Almagesto rimane il primo completo trattato d’astronomia. La seconda annotazione riguarda Castel del Monte. Sorge su un colle tra Andria e Corato, ha base ottagonale, con torrioni della stessa forma su ogni spigolo. Una destinazione ancora misteriosa. Morì a CastelFiorentino nel 1250.
Jacopo da Lentini (1210-1250: notaio imperiale di Catania)
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Canzonetta novella,
va’ canta nova cosa;
lèvati da maitino
davanti a la più bella,
fiore d’ogni amorosa,
bionda più c’auro fino:
"Lo vostro amor, ch’è caro,
donatelo al Notaro
ch’è nato da Lentino.
Conviene ricordare la funzione importante di Iacopo da Lentini nell'ambito della Scuola Siciliana: gli si attribuisce il ruolo di un vero caposcuola. Questa tesi e supportata soprattutto dalla posizione principale delle sue poesie all'interno del codice Vaticano Latino 3793.
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Una slide sui temi forti della poesia medievale:
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GUIDO GUINIZZELLI
Guido Guinizzelli, bolognese, giudice e uomo politico, nato intorno al 1235 e probabilmente morto in esilio a Monselice nel 1276, è il poeta che fondò quella maniera di poetare che Dante nel canto XXIV del Purgatorio definì "dolce stil nuovo". Con la canzone Al cor gentile rempaira sempre amore egli inaugurò sia sul piano dei contenuti (l'identità di amore e cor gentile, la poesia della lode, l'analogia dell'esperienza amorosa coi fenomeni naturali) sia su quello formale le basi della nuova maniera che avrebbe raggiunto compiutezza a Firenze con Cavalcanti e Dante.
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GUIDO CAVALCANTI
Chi è questa che vèn ch'ogn'om la mira,
che fa tremar di chiaritate l'are
e mena seco Amor, sì che parlare
null'omo pote, ma ciascun sospira?
O Deo, che sembra quando li occhi gira!
dical'Amor, ch'i' nol savria contare:
cotanto d'umiltà donna mi pare,
che ogn'altra ver' di lei i' la chiam' ira.
Non si poria contar la sua piagenza,
ch'a le' s'inchin' ogni gentil vertute,
e la beltate per sua dea la mostra.
Non fu sì alta già la mente nostra
e non si pose 'n noi tanta salute,
che propiamente n'avian canoscenza.
[…] la poesia di Guido, con la sua intensa capacità di esprimere «lo sbigottimento che accompagna il più completo abbandono alla potenza del sentimento amoroso» (B. Nardi), è quasi un unicum. Ce la fa sentire vicina a Catullo o a Saffo il «senso dell’eros che riempie e distrugge la vita, dell’eros come fonte di poesia e nello stesso tempo come totalità dell’esistenza e destino senza residui e senza scampo», indicato da Antonio La Penna, appunto, come presupposto della «rivoluzione morale» catulliana; d’altra parte, la profonda «ansia dell’assoluto sentito come inattingibile approdo» (M. Marti) troverà lontana rispondenza in Leopardi. […] «la disintegrazione dell’unità dell’essere e della coscienza, e la conseguente vanificazione della possibilità di dire “io”, non potrebbero essere condotte più avanti» (S. Giovannuzzi). […]
Altra caratteristica essenziale della poesia di Guido è la struttura rigorosamente intellettualistica, organizzata secondo un’intrinseca coerenza logica, che ha certo contribuito non poco a farlo giudicare da Francesco de Sanctis «artefice più che artista, inteso massimamente alla parte meccanica e tecnica della forma». Ma proprio in ciò consiste, a ben vedere, la sua grandezza: in lui l’altezza d’ingegno è la condizione stessa della creazione poetica; e il rigore logico e consequenziario non indebolisce l’elaborazione fantastica, anzi, la fonda e la nutre, e ne è a sua volta nutrito: la sintassi si fa chiara e schietta, funzionale ad un’espressione dolce e melodica, tendente «verso una semplicità classicamente armoniosa».
(Dall’Introduzione di Letterio Cassata a G. Cavalcanti, Rime, Donzelli, Roma, 1998 [1995]).
Nelle sue poesie [di Cavalcanti] le dramatis personae più che personaggi umani sono sospiri, raggi luminosi, immagini ottiche, e soprattutto quegli impulsi o messaggi immateriali che egli chiama “spiriti”. Un tema niente affatto leggero come la sofferenza d’amore, viene dissolto da Cavalcanti in entità impalpabili che si spostano tra anima sensitiva e anima intellettiva, tra cuore e mente, tra occhi e voce. Insomma, si tratta sempre di qualcosa che è contraddistinto da tre caratteristiche: 1) è leggerissimo; 2) è in movimento; 3) è un vettore d’informazione. […]
In Cavalcanti tutto si muove così rapidamente che non possiamo non renderci conto della sua consistenza ma solo dei suoi effetti.
(I. Calvino, Lezioni americane, "Leggerezza", Garzanti, Milano, 1988).
POSSIBILE VERIFICA
Classe terza Verifica di italiano sulla lirica medievale
Tipologia: risposte aperte
11) Alcuni interpreti vedono nella lirica del Duecento l’espressione della “FENOMENOLOGIA dell’amore”. Cosa pensi che intendano? Come si caratterizza? Con quali temi? in quali forme metriche? Come si evolve nel tempo?
2) Quale ruolo sociale e politico occupa Guido Guinizzelli? Perché la poesia guinizzelliana è un passaggio importante, tra la Sicilia e la Toscana?
3) Significato effettivo (riferito all’epoca) dei vocaboli: gentile, salute, umiltà, pare
4) Chi pronuncia il verso “ch’altro non n’è rimaso che sospiri.”? Puoi inseguire il tema dei SOSPIRI in tutti i testi letti di questo poeta?
5) Attribuisci e analizza (autore, metrica, tema, figure notevoli)
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Non fu sì alta già la mente nostra
e non si pose 'n noi tanta salute,
che propiamente n'aviàn conoscenza.