lunedì 20 gennaio 2020

Catullo


 
Sirmione, sul lago di Garda,la cosiddetta "villa di Catullo"


Biografia di Catullo


CARME 5
« Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis.
Soles occidere et redire possunt;
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum;
dein, cum milia multa fecerīmus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum. »

« Viviamo, o mia Lesbia, e amiamoci,
e le dicerie dei vecchi troppo severi
consideriamole tutte di valore pari a un soldo.
I giorni possono terminare e ritornare;
noi, quando una buona volta finirà questa breve luce,
dobbiamo dormire un'unica notte eterna.
Dammi mille baci, poi cento,
poi ancora mille, poi di nuovo cento,
poi senza smettere altri mille, poi cento;
poi, quando ce ne saremo date molte migliaia,
li mescoleremo, per non sapere (il loro numero)
e perché nessun malvagio ci possa guardare male,
sapendo che ci siamo dati tanti baci. »

Confronto del carme 5 con la poesia di J. Prèvert, 1946 - "I ragazzi che si amano"

I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è la loro ombra soltanto
Che trema nella notte
Stimolando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Essi sono altrove molto più lontano della notte
Molto più in alto del giorno
Nell'abbagliante splendore del loro primo amore



Les enfants qui s'aiment
Les enfants qui s'aiment s'embrassent debout
Contre les portes de la nuit
Et les passants qui passent les désignent du doigt
Mais les enfants qui s'aiment
Ne sont là pour personne
Et c'est seulement leur ombre
Qui tremble dans la nuit
Excitant la rage des passants
Leur rage leur mépris leurs rires et leur envie
Les enfants qui s'aiment ne sont là pour personne
Ils sont ailleurs bien plus loin que la nuit
Bien plus haut que le jour
Dans l'éblouissante clarté de leur premier amour.

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LA FIGURA DI SAFFO




In un vaso attico del V secolo  è raffigurata una donna intenta a leggere un volume su cui compare il nome di Saffo. Attorno a lei un gruppo di persone ascolta. L’immagine fa pensare a una sorta di lettura pubblica e l’attenzione è grande. Come mai, ci si può chiedere, la scelta dell’artista che ha dipinto quel vaso è caduta su quel nome? Evidentemente si trattava non solo di un nome noto, ma anche di un nome amato. La predilezione per Saffo, protrattasi per molti secoli, fa sì che i suoi testi, anche se in frammenti, siano giunti a noi. Di questa acquisizione dobbiamo ringraziare i frammenti papiracei, perché alla conclusione dell’epoca bizantina l’opera di Saffo risultava perduta. 

Saffo nacque  nell’isola di Lesbo, situata nel settore nord-orientale del Mare Egeo, ma trascorse gran parte della sua vita a Mitilene tra il VII e il VI secolo. Fu contemporanea del poeta Alceo, un suo compatriota che sicuramente la conosceva e la ammirava, dal momento che la apostrofa con queste parole «Saffo divina, chioma di viola, sorriso dolce come il miele« (I T58, fr.61)

Sappiamo che Saffo ebbe un marito, Cercila di Andro, di professione mercante, e una figlia, Cleide.  Istituì e insegnò in un thiasos, un collegio femminile che preparava le giovani a gestire una casa. 

Fonte: enciclopediadelledonne.it  Lia del Corno)







Carme 51  (ispirato a Catullo dal carme della poetessa Saffo)


Ille mi par esse deo videtur,
ille, si fas est, superare divos,
qui sedens adversus identidem te
spectat et audit
5 dulce ridentem, misero quod omnis
eripit sensus mihi; nam simul te,
Lesbia, aspexi, nihil est super mi
lingua sed torpet, tenuis sub artus
10 flamma demanat, sonitu suopte
tintinant aures, gemina teguntur
lumina nocte.
Otium, Catulle, tibi molestum est;
otio exultas nimiumque gestis:
15 otium et reges prius et beatas
perdidit urbes.

Mi sembra che sia pari a un dio e, se è lecito dirlo,mi sembra che superi gli dei, quell’uomo che, sedendo di fronte a te, ti contempla e ti ascolta sorridere dolcemente, e questa (visione) mi impedisce ogni sensazione; infatti, non appena ti vedo, o Lesbia, non mi resta un filo di voce, ma la lingua mi si paralizza, un fuoco penetrante scorre per le membra, le orecchie rimbombano di un ronzio interno, gli occhi sono avvolti da una duplice (impenetrabile) notte. L’ozio, Catullo, ti fa male; è per l’ozio che smani e troppo ti ecciti. Già altre volte l’ozio ha mandato in rovina re e città felici. 

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Carme 70

Nulli se dicit mulier mea nubere malle        
Quam mihi, non si se Iupiter ipse petat.

Dicit: sed mulier cupido quod dicit amanti
In vento et rapida scribere oportet aqua.
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Carme 72

Dicebas quondam solum te nosse
Catullum,
Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.
Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,
sed pater ut gnatos diligit et generos. 
Nunc te cognovi: quare etsi impensius uror,
multo mi tamen es vilior et levior.
Qui potis est? inquis, quod amantem inuria talis
Cogit amare magis, sed bene velle minus



Carme 85

Odi et amo. Quare id facias, fortasse requiris
Nescio; sed fieri sentio et excrucior.
Un tempo eri solita dire di conoscere solo Catullo, 
Lesbia, e che al posto mio non avresti preferito abbracciare Giove. 
Ti ho voluto bene non solo come l'uomo del popolo ama un'amica,
ma come un padre ama i figli e i nipoti.
Ora so chi sei: perciò anche se ardo più intensamente,
tuttavia per me tu sei molto più spregevole e insignificante.
- Come è possibile? - mi chiedi. Poiché un'offesa come la tua
costringe chi ama ad amare di più, ma a voler bene di meno
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Ti odio e di amo. Come succeda, forse chiedi.
Non lo so; ma sento che avviene e sto in croce. 

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Carme 13
Cenabis bene, mi Fabulle, apud me
paucis, si tibi di favent, diebus,
si tecum attuleris bonam atque magnam
cenam, non sine candida puella
et vino et sale et omnibus cachinnis.
Haec si, inquam, attuleris, venuste noster,
cenabis bene; nam tui Catulli
plenus sacculus est aranearum.
Sed contra accipies meros amores,
seu quid suavius elegantiusve est:
nam unguentum dabo, quod meae puellae
donarunt Veneres Cupidinesque;
quod tu cum olfacies, deos rogabis
totum ut te faciant, Fabulle, nasum.
Traduzione all'italiano
Cenerai bene, o mio Fabullo da me
tra pochi giorni, , se gli dei ti saranno favorevoli,
se porterai con te un buono e abbondante
pranzo, con (lett. non senza) una splendida fanciulla,
e il vino e il sale e tutte le spiritosaggini (risate).
Se porterai, dico, queste cose, bello mio,
cenerai bene: infatti del tuo Catullo
il borsellino è pieno di ragnatele.
Ma in cambio riceverai un affetto sincero,
o ciò che c'è di più squisito e raffinato:
infatti ti darò un profumo, che donarono alla mia fanciulla
Veneri e Amori; quando tu (ne) lo annuserai, pregherai gli dei
che ti facciano, o Fabullo, tutto naso. 


Intervista a Alessandro Fo, traduttore del Liber Catulliano
"Catullo è stato il primo poeta a scrivere un canzoniere d’amore dedicato a una specifica persona. In questo canzoniere ha dato voce alla sua storia sentimentale con tutti gli accidenti e le contraddizioni che caratterizzano qualsiasi storia, a partire dall’innamoramento, la seduzione, la crisi, la riconciliazione, fino alla crisi definitiva". Alessandro Fo non ha dubbi. Di fronte alla massa di studiosi che negli ultimi anni hanno scritto tutto e il contrario di tutto circa la portata biografica della poesia di Catullo, è necessario essere chiari. Docente di Letteratura Latina all’Università di Siena, autore sei anni fa di un’ammiratissima traduzione dell’Eneide, Fo giustifica il suo giudizio netto con una monumentale edizione del celebre liber, zeppa di riferimenti, spiegazioni, approfondimenti, nonché una nuova eccezionale traduzione. Un lavoro destinato a rappresentare un punto di riferimento decisivo per chi voglia confrontarsi con le liriche di uno dei più amati poeti latini.
Appena uscito per Einaudi, Gaio Valerio Catullo, Le poesie (pp. 1488, euro 58) è costato a Fo un impegno durissimo. «Circa cinque anni». «È la facilità difficile di un poeta che ho sempre amato e che sento consonante per ragioni umane oltre che poetiche.  Catullo è inarrivabile. È stato capace di cantare le piccole cose della quotidianità come nessuno, celebrandole quasi fossero le cose più grandi del mondo e lanciandosi in questo gioco sempre con il sorriso sulle labbra, con autoironia».
Per i suoi contemporanei, Catullo fu un rivoluzionario. Prima di lui la poesia s’identificava sostanzialmente con l’epos al servizio della comunità. Poi arrivarono i cosiddetti “neoterici”. «Ossia questi nuovi poeti, giovani che si dedicano a celebrare eventi minori e aggredire chi non fa parte della loro cerchia, scrivendo per destinatari precisi, gli amici più vicini, eppure strizzando l’occhio a chi sarebbe venuto dopo. Catullo ha ben chiaro che il suo fine, al di là delle storie contingenti, è nei secoli a venire. Parla a noi che ancora lo leggiamo e ci emozioniamo. E lo fa dunque con successo». Il liber è composto in sostanza da due generi di poesie: composizioni brevi e leggere e liriche di maggiore estensione e complessità, dette anche carmina docta. Parecchi i temi, ma certo quello che è rimasto nei secoli è l’amore, l’amore per Lesbia, che molti critici considerano solamente letterario. « Non penso ci possano essere dubbi: Lesbia è il nome che Catullo attribuì a Clodia, moglie di Quinto Metello Celere. Catullo la conquistò con il carme 51, ossia la traduzione di una famosissima lirica di Saffo in cui è assente il nome – Lesbia – che Catullo invece inserisce per dedicare i versi a Clodia». 
 Fu una breve vita, quella di Catullo, segnata, oltre che dall’amore, dal grande dolore per la morte del fratello. «Anche in questo caso c’è chi mette in dubbio tutto. Ma è difficile inventarsi la morte di un fratello pur di fare poesia. In realtà fu una ferita sconvolgente che portò Catullo a perdere ogni piacere per l’esistenza quotidiana. Il tempo lo curò. È molto probabile che proprio per visitare la tomba del fratello, si mise in viaggio al seguito di una spedizione amministrativa. Arrivò così dalle parti di Troia dove il fratello era morto. I versi che Catullo gli dedica sono diventati un archetipo decisivo per innumerevoli poeti. Pensi a Foscolo». Una trentina di anni visse questo poeta nato a Verona probabilmente nell’84 a.C. Eppure la sua maturità letteraria è da sempre una prova con cui confrontarsi.



PAOLO FEDELI

Con ciò siamo passati a parlare della poesia d’amore di Catullo, che rappresenta nella civiltà letteraria del mondo romano una novità assoluta, perché prima di lui non esiste a Roma un tipo di poesia, in cui la donna costituisca la somma degli affetti del poeta e occupi un ruolo centrale quale materia di canto: evidentemente scrivere poesia d’amore non era ritenuto degno della gravitas di un cittadino romano, per il quale la donna rimane sostanzialmente una res nihili. Alla svolta che si operò nel corso del I secolo a.C. avrà contribuito senz’altro un mutamento graduale della mentalità dei Romani: la penetrazione delle filosofie ellenistiche, la meditazione sul senso della vita, la riflessione sul tipo ideale di stato e sul ruolo dell’individuo nella società avranno agevolato un atteggiamento di maggiore comprensione nei confronti della donna. Accanto alla componente sociale, però, avrà avuto un ruolo decisivo quella letteraria, nel cui ambito l’epigramma erotico alessandrino ed ellenistico avrà occupato un ruolo di primaria importanza. Posto di fronte alla scelta fra Callimaco, che aveva trattato l’amore come un rapido e indolore passaggio da un’esperienza all’altra, e Meleagro, più moderno perché quasi a lui contemporaneo, che aveva concepito la passione amorosa come un sofferto motivo esistenziale, Catullo scelse Meleagro senza rinnegare, però, Callimaco e, grazie a tali antecedenti letterari, riuscì a creare a Roma un nuovo modello di comportamento e a fissare quelle linee del discorso amoroso, che poi sarebbero state riprese dalla generazione dei poeti d’amore elegiaci.