martedì 1 gennaio 2019

FONTI MEDIEVALI DELLA COMMEDIA

 (DA OILPROJECT)
Fonti medievali
Oltre alla cultura classica, filosofica e teologica, non possiamo però prescindere dalla conoscenza dantesca della sua contemporaneità e dalla diffusione di opere riportanti i racconti di leggende legati alla figura di Cristo e di santi. In questo senso, tra i testi che fanno da base alla Commedia ci sono leggendari medievali e raccolte di vite di santi quali la Legenda Aurea del domenicano Jacopo da Varazze (1238-1298), oppure testi appartenenti al filone del “viaggio ultraterreno” quali la Navigatio Sancti Brendani (IX-X secolo, di area irlandese) e la leggenda del Purgatorio di San Patrizio (opera di un monaco cistercense della fine del XII secolo) a cui bisogna aggiungere il filone delle visioni ultramondane. Per quanto riguarda testi più vicini a livello cronologico rispetto alla composizione della Commedia, della seconda metà del XIII secolo in poi, possiamo pensare al De Babilonia civitate infernali e al De Ierusalem Coelesti di Giacomino da Verona, al Libro delle tre scritture di Bonvesin de la Riva (1240 ca. - 1315 ca.) e al Libro dei vizi e delle virtù di Bono Giamboni (1235-1295), in cui il valore simbolico-allegorico del viaggio nell’aldilà acquista un preciso valore morale e didascalico.
 Fonti arabe
Molti critici, sulla scorta di alcuni studi di Maria Corti, sostengono oggi in maniera più convinta la conoscenza della cultura araba da parte di Dante, filtrata da una serie di traduzioni. Un esempio è sicuramente quello del Libro della Scala, opera escatologica in arabo in cui viene raccontata l’ascesa di Maometto al cielo, e tradotto successivamente, su commissione di Alfonso X di Castiglia in spagnolo, francese antico e latino (negli ultimi due casi, il lavoro venne commissionato a Bonaventura da Siena). Inoltre la diffusione della cultura araba in area italiana è testimoniata dalla presenza di studiosi, libri e persone alla corte di Federico II e nelle università, come Bologna e Padova, dove veniva discusso il commento di Averroè ad Aristotele.
SI PUO' APPROFONDIRE LEGGENDO UN'INTERVISTA A MARIA CORTI SU DANTE E L'ISLAM, QUI


Il Libro della Scala e le influenze arabe: una questione irrisolta 


(DA INTERNET CULTURALE)

fotografiaCon il titolo Libro della Scala si identifica un antico testo

 escatologico arabo-spagnolo che, sviluppando un celebre

 passo del Corano, racconta la storia del viaggio che

 Maometto compie nell’al di là, guidato dall’angelo 

Gabriele. Salito al Paradiso, attraverso una scala lucente

 che dà il nome all’opera, Maometto supera otto cieli, in ognuno dei quali incontra un profeta, e arriva a Dio, che gli affida il Corano. La narrazione prosegue con la visita delle sette terre infernali, alternando la rappresentazione dei tormenti con ampie digressioni dell’angelo Gabriele sul giorno del giudizio e sulla prova del ponte. Finito il cammino, Maometto fa ritorno sulla terra e rivela ai Meccani la sua visione.

Il testo, di cui non si è conservata la versione originale, ha conosciuto una straordinaria fortuna ed è citato con una certa frequenza almeno fino alla fine del XVI secolo. Dopo una traduzione in castigliano (anch’essa perduta), che Alfonso el Sabio fece eseguire intorno al 1264 dal medico giudaico Abraham, si sono susseguite, sempre per volere del re, almeno altre due traduzioni, affidate questa volta all’italiano Bonaventura da Siena: la prima, in latino, è attestata da un manoscritto che oggi è a Oxford, mentre la seconda, in francese antico, è tramandata da due codici, conservati rispettivamente uno alla Bibliothèque Nationale de France e l’altro alla Biblioteca Apostolica Vaticana.

La vicinanza tematica e, in qualche caso, anche formale della versione latina del testo arabo soprattutto con la prima cantica della Commedia ha indotto alcuni studiosi (Miguel Asìn Palacios, Enrico Cerulli, Maria Corti) ad includere il Libro della Scala nel vasto corpus delle fonti del poema e a riconsiderare l’ipotesi che l’escatologia (la scienza dell'oltreterreno) musulmana abbia esercitato una qualche influenza sulla scrittura dantesca. Ma si tratta di una questione ancora molto dibattuta e che incontra forti e motivate resistenze tra i dantisti.

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Le fonti della “Commedia”

 Giorgio PETROCCHI, Per conoscere Dante e la Divina commedia, Torino, 1988, pp. 33 -34


Il proposito, espresso al termine della Vita Nuova di dedicare all'amore per Beatrice una più degna trattazione, collegata ad "una mirabile visione", si inseriva in una tradizione letteraria di visioni allegoriche, tradizione che nella Commedia avrà un contenuto escatologico e una finalità profetica. 

Tutto ciò non era nuovo alla cultura del Medioevo, ricca di opere ispirate ai Vangeli, soprattutto a quelli Apocrifi: dalla Visio Sancti Pauli alla Navigatio sancti Brandani, dal Purgatorio di san Patrizio alla Visio Alberici e alla Visio Tungdali, sino a giungere ai poemetti in volgare molto diffusi nell'età giovanile di Dante, e cioè il De Jerusalem coelesti e il De Babilonia civitate infernali di Giacomino Veronese, il Libro delle tre scritture di Bonvesin da la Riva, il Libro de' Vizi e delle Virtudi del fiorentino Bono Giambani (quest'ultimo certamente più vicino alle consuetudini di lettura di Dante giovane).

 È stata poi avanzata l'ipotesi che Dante s'ispirasse ad un'opera musulmana, il Libro della Scala (tradotto dall'arabo in castigliano per ordine di re Alfonso), in cui si narra il mi'rag, cioè la salita al cielo di Maometto. 

Non è facile affermare di quante e quali “leggende”, nordiche o italiane od orientali, Dante avesse conoscenza diretta o impropria, anche se è indubbio che la vastissima tradizione letteraria non gli era nel complesso ignota; si può al massimo ritenere che qualche barlume di quelle letture, una sola immagine o una parte d 'immagine, siano rimasti nella sua “memoria” poetica così eccezionalmente prensile e durevole. Quel che va negato è che la Commedia in quanto tale possa essere stata concepita, strutturata ed espressa sulla base determinante di questa tradizione escatologica.

Le due vere “fonti” del poema sono l’Eneide di Virgilio, come costante ricordo d'una grande esperienza letteraria di descrizione di una discesa agl’Inferi, e la Bibbia, come somma di visioni profetiche, come grande costruzione mistico - visionaria. Accanto alle due “fonti” vere e proprie si colloca un'intensa lettura di classici pagani e cristiani, dall’Etica nicomachea e dalla Retorica di Aristotile al De officiis di Cicerone, dagli elementi morali insiti in Virgilio e in Stazio alle visioni mistiche dei Padri della Chiesa Occidentale, per giungere a sant’Alberto Magno, a san Bonaventura a san Tommaso d'Aquino: testi del tutto ignoti o comunque non operanti negli autori di poemi e poemetti duecenteschi. 
Sarà opportuno citare qualche esempio: l'idea di collocare il Paradiso terrestre sopra la vetta d'un alto monte è già nei Padri della Chiesa Orientale, e in san Bonaventura è presente l'idea di situarli in un'atmosfera pura; la struttura del Paradiso si riallaccia alla concezione di san Tommaso dei tre gradi conoscitivi.
 La topografia morale dell'Inferno è basata sullo schema aristotelico dei peccati. Il poema, che riflette intero ogni aspetto di Dante poeta, c 'è innanzi per testimoniare, con la prodigiosa varietà degli effetti come egli non leghi la propria poesia ad un particolare clima dello spirito; e perciò non può essere vincolato a schemi ristretti che ne impoveriscano la figura, facendolo poeta di questo o di quell'aspetto della vita spirituale. In realtà la Commedia trova la propria poesia nella più varia e complessa umanità in una serie pressoché infinita di sentimenti acutamente sofferti; e perciò il segreto per comprendere il tono molteplice di quella poesia sta nel conoscere Dante uomo e nell'individuare il nodo intorno al quale sta salda la sua personalità.