Parole chiave del medio evo:
Età di mezzo?invasioni barbariche
feudalesimo
cattolicesimo
castelli e conventi
passaggio dal latino ai volgari
nascita delle letterature nazionali
codificazione dei generi letterari
spopolamento delle campagne, urbanizzazione
Impero
liberi Comuni
cattedrali: affreschi e vetrate
allegoria
predicazione
pellegrini
mercanti
senso del peccato e mortificazione del corpo
"nascita" del purgatorio
Peste
Parole chiave dell'Umanesimo
Signorie
Banche
Da Dio... all'Uomo
Il libro e la trasmissione del sapere
" Homo sum; nihil humani a me alienum puto" (Terenzio, II sec A.C.)
Da Treccani.it:
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Il lemma corte
si rifà al latino medievale cortis, curtis, (a sua volta derivato dal latino classico cohors,"cortile", ma anche "coorte", "stuolo", "corteo") indicante il comprensorio territoriale sito attorno al castello del feudatario: nel corso del Medioevo, a questo significato originario si sovrappone quello corrispondente al provenzale cort, propriamente il luogo di raduno dei nobili attorno al loro signore. Il significato di corte si sovrappone, negli usi latini classici e moderni, anche ad altri due termini anch'essi latini: curia, in quanto "edificio ove si radunano cittadini illustri", e aula, intesa nel senso traslato di "reggia": "Fraus sublimi regnat in aula" (Seneca, Phaedra: "la perfidia regna nelle corti dei potenti");curialis e aulicus sono, dunque, sinonimi di "cortigiano". Questi significati si trasferiscono negli usi volgari: "è il luogo più spazioso del palazzo, che alcuni lo chiamano cortile" (Alunno, La fabrica del mondo, p.146); "La corte è una unione di uomini di qualità alla servitù di persona segnalata, e principale, [...] la corte [è] gran maestra del vivere umano, sostegno della politezza, scala dell'eloquenza, teatro degli onori, scala delle grandezze e campo aperto delle conversazioni e dell'amicizie [...], e, per dirla in una parola sola, di tutte le cose più onorate, e degna in tutta la fabbrica del mondo, nel quale si fonda e afferma ogni nostro oprare e intendere" (Ripa, Iconologia, p.145). La corte diventa il paradigma culturale della società aristocratica di Antico regime: è anzi il luogo "rinascimentale" per antonomasia, dove è possibile produrre e scambiare arte e poesia, grazie alla liberalità e magnificenza del Principe. Ma soprattutto la corte è il luogo visibile, e simbolico, del potere: è la casa del Principe e della sua famiglia. Tutto si svolge a corte: il governo dello stato, nelle sue decisioni politiche (ma anche di giustizia) e nelle trattative diplomatiche; gli intrattenimenti e gli svaghi che scandiscono il tempo quotidiano della corte in quanto tempo della sua civile conversazione e della esemplare sua virtù (tornei, feste, spettacoli, danze, banchetti, musica, teatro, giochi, feste, esibizione dei buffoni, eccetera); le iniziative di promozione e committenza della cultura e delle arti. La corte è il luogo dove trovano lavoro competenze diverse: sia per le esigenze ordinarie della sua vita domestica di ogni giorno (amministratori, maggiordomi, vivandieri, cuochi, guardarobieri, servitori di vari livelli, stallieri, maniscalchi, eccetera: in funzionale ordinamento gerarchico), sia per le necessità istituzionali del suo buon governo (funzionari, diplomatici, magistrati, segretari, eccetera), sia per le attività culturali (istitutori dei figli del principe, letterati, musicisti, danzatori, scenografi, attori, buffoni, eccetera). Per queste funzioni la corte recluta e assume un numero notevole di umanisti, prima, e scrittori poi: tra Quattrocento e Cinquecento sono chiamati alla carica di segretario personale del principe (o del cardinale) insigni letterati. Sin dal Medioevo, la corte ha un'altra faccia: è il luogo dove si concentrano i peggiori vizi, quali l'adulazione, l'invidia, la piaggeria, la corruzione, la lussuria, l'infedeltà, eccetera; e i cortigiani sono la feccia dell'umanità ("Cortigiani vil razza dannata …", griderà ancora Rigoletto nell'opera di Giuseppe Verdi, in prima rappresentazione nel 1851). Questa topica tradizione anticortigiana affiora in tante altre opere: ad esempio, in Ariosto ("So ben che dal parer dei più mi tolgo / che ‘l stare in corte stimano grandezza, / ch'io pel contrario a servitù rivolgo",Satire, III, vv. 28'30). Efficace è anche questo pensiero di Guicciardini: "Chi sta in corte de' principi e aspira a essere adoperato da loro, stia quanto può loro innanzi agli occhi, perché nascono spesso faccende che, vedendoti, si ricorda di te e spesso le commette a te; le quali, se non ti vedessi, commetterebbe a un altro" (Ricordi, 94). Sin dal 1584 Torquato Tasso progetta un dialogo sul tema della corte, e lo completa nel 1587 con il titolo Il Malpiglio, overo de la Corte, dove rielabora e compendia la tradizione discorsiva sulla corte, in positivo e in negativo: "F. N.: Quelle cose medesime dunque le quali acquistan la benevoglienza de' principi, generan l'invidia cortigiana: laonde, non si potendo l'una e l'altra conseguire, non ci dobbiam curar d'essere invidiati de la corte, o non conviene con tanto studio ricercar la grazia de' signori" (I 43); "F. N.: La corte dunque è congregazion d'uomini raccolti per onore" (I 55); "F. N.: "tanto dovrebbono esser partecipi de la prudenza e de le maniere laudevoli de la corte, quanto bastasse a farli più cari al principe e a ciascun altro" (I 171).
(Paola Cosentino)
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LE DONNE POETESSE NELLA REGIONE MARCHIGIANA
Nel Trecento, in Italia, più precisamente nel territorio marchigiano, quando nel porto di Ancona arriva la «bianca carta» dall'Oriente e sorgono, a Fabriano, le prime cartiere del mondo cristiano, alcune giovani autrici, probabilmente le prime in Italia a costituire un vero nucleo letterario composto di sole donne, si scrivono l'un l'altra messaggi in forma di sonetto, affrontando, in netto anticipo sulla «Querelle des femmes» che avrebbe infiammato il Rinascimento, temi specifici quali la contestazione delle norme patriarcali e la particolarità della loro condizione di subordinazione alla poetica e al dominio maschile nel mondo della Politica e delle Lettere. Settecento anni dopo, nella complessità dell'odierno globalizzato, la questione di genere è ancora, con una forza e una vitalità senza precedenti, una questione fondamentale per l'intera società.
Proprio per questo, è stato chiesto a Mariangela Gualtieri, Antonella Anedda e Franca Mancinelli, poetesse tra le più autorevoli del nostro tempo, di rispondere in versi, secondo l'uso antico, alle scrittrici marchigiane, ciascuna secondo il proprio stile e le proprie affinità, in un dialogo intimo, ma apertissimo, tra epoche, scritture e, appunto, tra generi. A scandire il dialogo, valicando la «bianca carta» come un confine aperto, le visioni senza tempo dell'artista Simone Pellegrini, che estendono il discorso intrapreso verso il superamento di ogni distinzione, trapassando i generi nell'intreccio dei corpi e delle parole.
DAL VOLUME TACETE O MASCHI, Argolibri 2020:
POETESSE ANTICHE E MODERNE A CONFRONTO
LEONORA DELLA GENGA (1300)
Tacete, o maschi, a dir, che la Natura
A far il maschio solamente intenda,
E per formar la femmina non prenda,
Se non contra sua voglia alcuna cura.
Qual’ invidia per tal, qual nube oscura
Fa, che la mente vostra non comprenda,
Com’ ella in farle ogni sua forza spenda,
Onde la gloria lor la vostra oscura?
Sanno le donne maneggiar le spade,
Sanno regger gl’ Imperi, e sanno ancora
Trovar il cammin dritto in Elicona.
In ogni cosa il valor vostro cade,
Uomini, appresso loro. Uomo non fora
Mai per torne di man pregio, o corona.
MARIANGELA GUALTIERI 2020
da Lettera a Leonora
Cara Leonora,
ecco, ti scrivo 600 anni dopo.
Ti sento vicina.
Il grande sacrificio dell’energia femminile
di questo femminile dell’umano
non è terminato e nella più parte del pianeta
procede – come e peggio di allora.
Questo
sacrificio lungo, non ben compreso ancora,
ha sbilanciato la specie. In più parti
i peggiori sono al comando. Non c’è concordanza,
armonia, grazia, gentilezza non c’è,
non c’è intesa con l’altro da sé, l’aver cura,
comprensione, pazienza, compassione,
accoglienza non c’è, tutte virtù mancanti.
E intorno natura a volte rispecchia e rilancia la stessa
mancanza, come specchio di noi, con inimicizia
di acque e venti sgarbatissimi e sommovimenti frananti
ORTENSIA DI GUGLIELMO (1300)
Vorrei
talor dell’intelletto mio
Tanto sopra me stessa alzar le penne;
Che potessi veder quanto sostenne,
Per amor nostro, il gran figliuol di Dio.
Come
pieno di zelo ardente e pio,
Sendo egli offeso, a chieder pace venne.
Come, e qual fren con noi tanto lo tenne:
E come su la Croce al fin morio.
Ma vinta
al fin dalla grandezza immensa
De l’audace disio ripiego l’ali
E dico, o grande amor, chi ti comprende?
Quando
ti seguo più, tanto più sali;
Ti fai maggior, quanto più in te si pensa;
Te intende sol, chi fa che non t’intende.
ANTONELLA ANEDDA (2020) da "Sonetto disubbidiente"
[...] Ortensia,
non scrivere a Petrarca (se è vero che hai chiesto il
suo parere)
cosa vuoi che risponda – chiedi a un altro poeta (del
futuro) scavalca i sessi
lascia che un’H s’illumini davanti alla vocale. Diventa Hortense, smetti
di essere virtuosa, poi trasformati di nuovo, diventa la libellula di Amelia,
disperdi il seme, l’umore, smetti di sospirare per la fama
disubbidisci
stai fuori dall’elogio e dalla rima, diventa spensierata,
filosofa dei boschi, deponi la speranza e la paura
diventa un corvo, una cornacchia, trovati da sola.
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GASPARA STAMPA
MONICA FARNETTI, DOLCERIDENTE, MORETTI E
VITALI 2017
Gaspara
Stampa è una giovane poetessa piena di talento che nella Venezia degli anni
fulgenti del Rinascimento riesce a imporre con grazia e durevolmente la
propria autorità nell’ambiente intellettuale e artistico cittadino, e a
conquistarsi una fama che è giunta fino a noi. Gaspara Stampa è stata capace di
rimodellare in profondità, per adattarli a sé, un codice e una cultura
predisposti per tutt’altro soggetto lirico. Sovverte, a norma della propria
esperienza, la forma consacrata del libro di rime per un unico amore, e
smentisce la tradizionale e irriducibile solitudine dell’io iscrivendo nel
testo una comunità dialogica, vivace e partecipe, composta di donne che la
scortano e garantiscono per lei. Rinuncia, infine, a qualunque aldilà,
scegliendo lo stare “qui” per indicarci quanto di grande e di irrinunciabile vi
è contenuto: la meraviglia di essere un corpo vivo, l’estasi che proviene dalla
materialità delle cose, e la sovrabbondante bellezza del mondo terreno.
Questo libro è la prima monografia in Italia interamente
dedicata alla poetessa veneziana Gaspara Stampa, figura di primissimo piano
sulla scena del Rinascimento europeo e nella storia della letteratura italiana.
La sua poesia, ampiamente antologizzata in Italia e all’estero, edita
integralmente presso editori di prim’ordine, oggetto di letture illustri nel
corso dei secoli (da Sansovino a D’Annunzio, da Rilke a Ingeborg Bachmann, da
Robert Graves a Cristina Campo a Maria Bellonci) e studiata in tutto il mondo
in una folta serie di saggi brevi, viene sottoposta qui a una compiuta visione
d’insieme. Da un lato siamo informati della dirompente e splendida novità che
la Stampa introduce nella tradizione, novità fortemente legata al suo essere
donna e al suo adeguare a sé, riconfigurandolo, il codice del petrarchismo;
dall’altro lato, vedremo la sua capacità di fare propria e di rilanciare quella
tradizione stessa, rappresentata dai classici che conosce profondamente e dagli
istituti della poesia che mostra di governare con grande finezza, tenendo testa
al modello di Petrarca.
Le Rime di Gaspara Stampa: commento di Edoardo Simonato
Un video su Gaspara Stampa Il canto della salamandra d'oro, racconto su di lei, di Lucia Guidorizzi)