lunedì 16 settembre 2024

MEDIO EVO E UMANESIMO // LE DONNE POETE

 Parole chiave del medio evo:

Età di mezzo?
invasioni barbariche
feudalesimo
cattolicesimo
castelli e conventi
passaggio dal latino ai volgari
nascita delle letterature nazionali
codificazione dei generi letterari
spopolamento delle campagne, urbanizzazione
Impero
liberi Comuni
cattedrali: affreschi e vetrate
allegoria
predicazione
pellegrini
mercanti
senso del peccato e mortificazione del corpo
"nascita" del purgatorio
Peste

Parole chiave dell'Umanesimo
Signorie
Banche
Da Dio... all'Uomo
Il libro e la trasmissione del sapere






" Homo sum; nihil humani a me alienum puto"   (Terenzio, II sec A.C.)
Da Treccani.it: 
Umanesimo Periodo storico le cui origini sono rintracciate dopo la metà del 14° sec., e culminato nel 15°: tale periodo si caratterizza per un più ricco e più consapevole fiorire degli studi sulle lingue e letterature classiche, considerate come strumento di elevazione spirituale per l’uomo, e perciò chiamati, secondo un’espressione ciceroniana, studia humanitatis. Si parla di umanesimo filologico per distinguere, nel 14° e 15° sec., l’attività degli umanisti intesa al recupero, allo studio, alla pubblicazione dei testi classici, dall’attività di quegli stessi umanisti intesa più generalmente alla creazione letteraria e filosofica, all’elaborazione di una nuova civiltà. Si parla poi di u. volgare in relazione allo sbocco storico dell’U., quando, nella seconda metà del 15° sec., gli ideali letterari di scrittura armoniosa e ornata sono trasferiti in  Italia alle opere letterarie in volgare. Con riferimento, esplicito e implicito, all’U. quale periodo storico, il termine è usato infine per caratterizzare ogni orientamento che riprenda il senso e i valori affermatisi nella cultura umanistica: dall’amore per gli studi classici e per le humanae litterae alla concezione dell’uomo e della sua ‘dignità’ quale autore della propria storia, punto di riferimento costante e centrale della riflessione filosofica.
Umanesimo filologico: si può dire che tutto o quasi il patrimonio attuale di autori latini è stato scoperto o rimesso in circolazione nel Quattrocento. I testi da sempre conosciuti e quelli ora ritrovati erano corretti, interpretati, commentati dal punto di vista linguistico, storico, archeologico; s’instaurava così, al posto della semplice ricezione medievale, una lettura critica ad alto livello, nella quale consiste la più importante novità dell’Umanesimo.

    Intorno alla metà del 14° sec., e per impulso soprattutto di F. Petrarca, gli studi classici assunsero un carattere nuovo, il cui aspetto più appariscente fu la ricerca, nelle biblioteche chiesastiche e poi monastichedei codici antichi. Si manifestò, in pratica, l’esigenza di non contentarsi di quella parte della letteratura latina che era giunta sino allora per tradizione scolastica e culturale ininterrotta, ma di recuperare anche la parte di essa che era stata dimenticata. Si cercò, inoltre, di restituire le testimonianze della grecità che, salvo nell’Italia meridionale, erano state sino allora dovunque trascurate. Si accompagnò a questa ricerca lo sforzo di sostituire alla lingua latina, più o meno profondamente corrotta durante il Medioevo, la lingua dei classici, cioè di recuperare la latinità (in particolare quella virgiliana e ciceroniana) anche come strumento linguistico: il latino così diventò, proprio quando i vari volgari avevano prodotto capolavori, la lingua letteraria per eccellenza. 
    Nel costituire la sua ricca biblioteca, soprattutto durante la permanenza ad Avignone, punto d’incontro di varie correnti culturali, Petrarca esercitò un’azione decisiva nella storia testuale dei classici, sia scoprendo nuovi testi, sia riunendo in un unico corpo i documenti della tradizione manoscritta (come, per es., per Livio). A Petrarca si deve la scoperta (1333) di due orazioni ciceroniane, nonché il recupero delle epistole Ad Atticum e di un testo mutilo delle Institutiones quintilianee; a Boccaccio le riconquiste, integrali o parziali, o la rivalorizzazione critica di testi di Varrone, Marziale, Apuleio, 
    Seneca, Ovidio, e soprattutto di Tacito. Seguì nel 1392, per opera di C. Salutati, la riscoperta delle epistole ciceroniane Ad familiares. Estremamente fecondo fu il primo Quattrocento: il solo P. Bracciolini scoprì, tra le molte altre,  il De rerum natura di Lucrezio, altre orazioni ciceroniane ecc. 
    Si può dire che tutto o quasi il patrimonio attuale di autori latini è stato scoperto o rimesso in circolazione nel Quattrocento; dopo, solo sporadicamente sono stati recuperati nuovi testi, sino alla fase di scoperte umanistiche greche determinata dalla papirologia.

      "...Aspetti che io ti dica di che genere di malattia si tratta? Ecco: non riesco a saziarmi di libri. E sì che ne posseggo un numero probabilmente superiore al necessario; ma succede anche coi libri come con le altre cose: la fortuna nel cercarli è sprone a una maggiore avidità di possederne. " 
                                      FRANCESCO PETRARCA A GIOVANNI ANCHISEO

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Che cosa significa “Umanesimo” Umanesimo è termine storiografico moderno e designa una civiltà che si è sviluppata a partire dalla fine del XIV secolo, lungo l’intero arco del XV e oltre, e che ha avuto il proprio fine culturale nel recupero filologico dei classici latini e greci e nell’affermazione dei valori terreni dell’individuo che quei classici avevano appunto esaltato. Il vocabolo Umanesimo deriva da un termine legato a tale civiltà: humanista, che nel lat. del XV sec. indicava l’insegnante di humanae litterae (letteralmente, di dottrine – litterae – che riguardano l’uomo –humanae -), quelle discipline che in epoca classica erano definite studia humanitatis (studi liberali, o, letteralmente, “studi dell’umanità”) e cioè, secondo la definizione di Cicerone, la grammatica, la retorica, la poesia, la storia e la filosofia. La voce umanista indica però oggi, in senso più ampio, la figura intellettuale tipica dell’Umanesimo, cioè il cultore di studi classici, il filologo appassionato che scopre e pubblica i testi dell’antichità latina e greca, il propugnatore del valore dell’individualità umana; figura che ha in Petrarca il suo primo esempio. L’aggettivo umanistico normalmente indica “ciò che appartiene alla civiltà dell’Umanesimo”. Esso può assumere un significato specifico in alcune locuzioni. Per esempio, in ambito universitario si distinguono le Facoltà umanistiche (Lettere e Filosofia, Lingue, Legge, ecc.) da quelle scientifiche (Matematica, Fisica, Chimica, ecc.). D’altra parte, con scienze umane vengono solitamente indicate in modo generico discipline e studi di tipo storico, letterario o filosofico in contrapposizione a quelli di tipo tecnico o scientifico.
Da R. Luperini, P. Cataldi, L. Marchiani, F. Marchese. La scrittura e l’interpretazione, vol. 1 tomo II, G.B. Palumbo, pag. 5

     
UN SOGNO

Loredana Chines (docente  di Letteratura Italiana  in Unibo):
".....gli umanisti coltivarono uno straordinario sogno, quello di costruire una nuova cultura, un nuovo mondo, nuovi orizzonti di sapere, grazie a un'inedita coscienza della misura della realtà, i cui confini sono ridisegnati dalla rinnovata forza della parola acquisita con gli strumenti della filologia, la scienza che pesa le cose, definisce gli ambiti del sapere e le potenzialità dell’uomo. In tal senso aveva aperto la strada la lezione petrarchesca - che recepita nella prima metà del Quattrocento soprattutto dalla genialità di LorenzoValla e consegnata alle espressioni più fertili  dell’umanesimo successivo -vede nella parola rifondata lo strumento di ricostruzione degli orizzonti di tutti i saperi, e nella correttezza linguistica del latino il potenziale fondamento per una rinascita della cultura e della civiltà non solo delle lettere ma di tutte le discipline. Un testo “risanato” con le armi filologiche poteva non solo restituire emendate le lezioni degli antichi, ma anche sovvertire luoghi comuni, interpretazioni distorte, sillogismi stantii, che si insinuavano tra le righe dei volumi di diritto, di medicina, e di ogni dottrina tramandata dal passato che trovasse posto nel sapere consolidato o addirittura concreta e abituale applicazione nella vita pratica e civile. In questa “ragione” filologica è la prima grande espressione della modernità degli umanisti, che è ricerca di un "metodo".


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"IL QUATTROCENTO È UN SECOLO DI GESTAZIONE ED ELABORAZIONE. È IL PASSAGGIO DALL’ETÀ EROICA ALL’ETÀ BORGHESE, DALLA SOCIETÀ CAVALLERESCA ALLA SOCIETÀ CIVILE, DALLA FEDE E DALL’AUTORITÀ AL LIBERO ESAME, DALL’ASCETISMO E SIMBOLISMO ALLO STUDIO DIRETTO DELLA NATURA E DELL’UOMO. Il secolo ha tendenze varie e spiccate, ma non ne ha la coscienza. Nella sua coscienza c’è solo questo di chiaro e distinto: che la perfezione è nei classici e che in quel modello bisogna conformarsi"
(Francesco de Sanctis, introduzione ai Libri della famiglia di Leon Battista Alberti)

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Il lemma corte 



si rifà al latino medievale cortis, curtis, (a sua volta derivato dal latino classico cohors,"cortile", ma anche "coorte", "stuolo", "corteo") indicante il comprensorio territoriale sito attorno al castello del feudatario: nel corso del Medioevo, a questo significato originario si sovrappone quello corrispondente al provenzale cort, propriamente il luogo di raduno dei nobili attorno al loro signore. Il significato di corte si sovrappone, negli usi latini classici e moderni, anche ad altri due termini anch'essi latini: curia, in quanto "edificio ove si radunano cittadini illustri", e aula, intesa nel senso traslato di "reggia": "Fraus sublimi regnat in aula" (Seneca, Phaedra: "la perfidia regna nelle corti dei potenti");curialis e aulicus sono, dunque, sinonimi di "cortigiano". Questi significati si trasferiscono negli usi volgari: "è il luogo più spazioso del palazzo, che alcuni lo chiamano cortile" (Alunno, La fabrica del mondo, p.146); "La corte è una unione di uomini di qualità alla servitù di persona segnalata, e principale, [...] la corte [è] gran maestra del vivere umano, sostegno della politezza, scala dell'eloquenza, teatro degli onori, scala delle grandezze e campo aperto delle conversazioni e dell'amicizie [...], e, per dirla in una parola sola, di tutte le cose più onorate, e degna in tutta la fabbrica del mondo, nel quale si fonda e afferma ogni nostro oprare e intendere" (Ripa, Iconologia, p.145). La corte diventa il paradigma culturale della società aristocratica di Antico regime: è anzi il luogo "rinascimentale" per antonomasia, dove è possibile produrre e scambiare arte e poesia, grazie alla liberalità e magnificenza del Principe. Ma soprattutto la corte è il luogo visibile, e simbolico, del potere: è la casa del Principe e della sua famiglia. Tutto si svolge a corte: il governo dello stato, nelle sue decisioni politiche (ma anche di giustizia) e nelle trattative diplomatiche; gli intrattenimenti e gli svaghi che scandiscono il tempo quotidiano della corte in quanto tempo della sua civile conversazione e della esemplare sua virtù (tornei, feste, spettacoli, danze, banchetti, musica, teatro, giochi, feste, esibizione dei buffoni, eccetera); le iniziative di promozione e committenza della cultura e delle arti. La corte è il luogo dove trovano lavoro competenze diverse: sia per le esigenze ordinarie della sua vita domestica di ogni giorno (amministratori, maggiordomi, vivandieri, cuochi, guardarobieri, servitori di vari livelli, stallieri, maniscalchi, eccetera: in funzionale ordinamento gerarchico), sia per le necessità istituzionali del suo buon governo (funzionari, diplomatici, magistrati, segretari, eccetera), sia per le attività culturali (istitutori dei figli del principe, letterati, musicisti, danzatori, scenografi, attori, buffoni, eccetera). Per queste funzioni la corte recluta e assume un numero notevole di umanisti, prima, e scrittori poi: tra Quattrocento e Cinquecento sono chiamati alla carica di segretario personale del principe (o del cardinale) insigni letterati. Sin dal Medioevo, la corte ha un'altra faccia: è il luogo dove si concentrano i peggiori vizi, quali l'adulazione, l'invidia, la piaggeria, la corruzione, la lussuria, l'infedeltà, eccetera; e i cortigiani sono la feccia dell'umanità ("Cortigiani vil razza dannata …", griderà ancora Rigoletto nell'opera di Giuseppe Verdi, in prima rappresentazione nel 1851). Questa topica tradizione anticortigiana affiora in tante altre opere: ad esempio, in Ariosto ("So ben che dal parer dei più mi tolgo / che ‘l stare in corte stimano grandezza, / ch'io pel contrario a servitù rivolgo",Satire, III, vv. 28'30). Efficace è anche questo pensiero di Guicciardini: "Chi sta in corte de' principi e aspira a essere adoperato da loro, stia quanto può loro innanzi agli occhi, perché nascono spesso faccende che, vedendoti, si ricorda di te e spesso le commette a te; le quali, se non ti vedessi, commetterebbe a un altro" (Ricordi, 94). Sin dal 1584 Torquato Tasso progetta un dialogo sul tema della corte, e lo completa nel 1587 con il titolo Il Malpiglio, overo de la Corte, dove rielabora e compendia la tradizione discorsiva sulla corte, in positivo e in negativo: "F. N.: Quelle cose medesime dunque le quali acquistan la benevoglienza de' principi, generan l'invidia cortigiana: laonde, non si potendo l'una e l'altra conseguire, non ci dobbiam curar d'essere invidiati de la corte, o non conviene con tanto studio ricercar la grazia de' signori" (I 43); "F. N.: La corte dunque è congregazion d'uomini raccolti per onore" (I 55); "F. N.: "tanto dovrebbono esser partecipi de la prudenza e de le maniere laudevoli de la corte, quanto bastasse a farli più cari al principe e a ciascun altro" (I 171).

(Paola Cosentino)


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LE DONNE POETESSE NELLA REGIONE MARCHIGIANA

 

Nel Trecento, in Italia, più precisamente nel territorio marchigiano, quando nel porto di Ancona arriva la «bianca carta» dall'Oriente e sorgono, a Fabriano, le prime cartiere del mondo cristiano, alcune giovani autrici, probabilmente le prime in Italia a costituire un vero nucleo letterario composto di sole donne, si scrivono l'un l'altra messaggi in forma di sonetto, affrontando, in netto anticipo sulla «Querelle des femmes» che avrebbe infiammato il Rinascimento, temi specifici quali la contestazione delle norme patriarcali e la particolarità della loro condizione di subordinazione alla poetica e al dominio maschile nel mondo della Politica e delle Lettere. Settecento anni dopo, nella complessità dell'odierno globalizzato, la questione di genere è ancora, con una forza e una vitalità senza precedenti, una questione fondamentale per l'intera società. 

Proprio per questo, è stato chiesto a Mariangela Gualtieri, Antonella Anedda e Franca Mancinelli, poetesse tra le più autorevoli del nostro tempo, di rispondere in versi, secondo l'uso antico, alle scrittrici marchigiane, ciascuna secondo il proprio stile e le proprie affinità, in un dialogo intimo, ma apertissimo, tra epoche, scritture e, appunto, tra generi. A scandire il dialogo, valicando la «bianca carta» come un confine aperto, le visioni senza tempo dell'artista Simone Pellegrini, che estendono il discorso intrapreso verso il superamento di ogni distinzione, trapassando i generi nell'intreccio dei corpi e delle parole.


 DAL VOLUME TACETE O MASCHI, Argolibri 2020: 

POETESSE ANTICHE E MODERNE A CONFRONTO



LEONORA DELLA GENGA (1300)

Tacete, o maschi, a dir, che la Natura
A far il maschio solamente intenda,
E per formar la femmina non prenda,
Se non contra sua voglia alcuna cura.

Qual’ invidia per tal, qual nube oscura
Fa, che la mente vostra non comprenda,
Com’ ella in farle ogni sua forza spenda,
Onde la gloria lor la vostra oscura?

Sanno le donne maneggiar le spade,
Sanno regger gl’ Imperi, e sanno ancora
Trovar il cammin dritto in Elicona.

In ogni cosa il valor vostro cade,
Uomini, appresso loro. Uomo non fora
Mai per torne di man pregio, o corona.

 

MARIANGELA GUALTIERI 2020
da Lettera a Leonora

Cara Leonora,
ecco, ti scrivo 600 anni dopo.
Ti sento vicina.
Il grande sacrificio dell’energia femminile
di questo femminile dell’umano
non è terminato e nella più parte del pianeta
procede – come e peggio di allora.

Questo sacrificio lungo, non ben compreso ancora,
ha sbilanciato la specie. In più parti
i peggiori sono al comando. Non c’è concordanza,
armonia, grazia, gentilezza non c’è,
non c’è intesa con l’altro da sé, l’aver cura,
comprensione, pazienza, compassione,
accoglienza non c’è, tutte virtù mancanti.
E intorno natura a volte rispecchia e rilancia la stessa
mancanza, come specchio di noi, con inimicizia
di acque e venti sgarbatissimi e sommovimenti frananti

  ORTENSIA DI GUGLIELMO (1300)


Vorrei talor dell’intelletto mio
Tanto sopra me stessa alzar le penne;
Che potessi veder quanto sostenne,
Per amor nostro, il gran figliuol di Dio.

Come pieno di zelo ardente e pio,
Sendo egli offeso, a chieder pace venne.
Come, e qual fren con noi tanto lo tenne:
E come su la Croce al fin morio.

Ma vinta al fin dalla grandezza immensa
De l’audace disio ripiego l’ali
E dico, o grande amor, chi ti comprende?

Quando ti seguo più, tanto più sali;
Ti fai maggior, quanto più in te si pensa;
Te intende sol, chi fa che non t’intende.

ANTONELLA ANEDDA (2020) da "Sonetto disubbidiente"

[...] Ortensia, non scrivere a Petrarca (se è vero che hai chiesto il suo parere)
cosa vuoi che risponda – chiedi a un altro poeta (del futuro) scavalca i sessi
lascia che un’H s’illumini davanti alla vocale. Diventa Hortense, smetti
di essere virtuosa, poi trasformati di nuovo, diventa la libellula di Amelia,
disperdi il seme, l’umore, smetti di sospirare per la fama
disubbidisci
stai fuori dall’elogio e dalla rima, diventa spensierata,
filosofa dei boschi, deponi la speranza e la paura
diventa un corvo, una cornacchia, trovati da sola.

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GASPARA STAMPA 




MONICA FARNETTI, DOLCERIDENTE, MORETTI E VITALI 2017

 

Gaspara Stampa è una giovane poetessa piena di talento che nella Venezia degli anni fulgenti del Rinascimento riesce a imporre con grazia e durevolmente la propria autorità nell’ambiente intellettuale e artistico cittadino, e a conquistarsi una fama che è giunta fino a noi. Gaspara Stampa è stata capace di rimodellare in profondità, per adattarli a sé, un codice e una cultura predisposti per tutt’altro soggetto lirico. Sovverte, a norma della propria esperienza, la forma consacrata del libro di rime per un unico amore, e smentisce la tradizionale e irriducibile solitudine dell’io iscrivendo nel testo una comunità dialogica, vivace e partecipe, composta di donne che la scortano e garantiscono per lei. Rinuncia, infine, a qualunque aldilà, scegliendo lo stare “qui” per indicarci quanto di grande e di irrinunciabile vi è contenuto: la meraviglia di essere un corpo vivo, l’estasi che proviene dalla materialità delle cose, e la sovrabbondante bellezza del mondo terreno.

Questo libro è la prima monografia in Italia interamente dedicata alla poetessa veneziana Gaspara Stampa, figura di primissimo piano sulla scena del Rinascimento europeo e nella storia della letteratura italiana. La sua poesia, ampiamente antologizzata in Italia e all’estero, edita integralmente presso editori di prim’ordine, oggetto di letture illustri nel corso dei secoli (da Sansovino a D’Annunzio, da Rilke a Ingeborg Bachmann, da Robert Graves a Cristina Campo a Maria Bellonci) e studiata in tutto il mondo in una folta serie di saggi brevi, viene sottoposta qui a una compiuta visione d’insieme. Da un lato siamo informati della dirompente e splendida novità che la Stampa introduce nella tradizione, novità fortemente legata al suo essere donna e al suo adeguare a sé, riconfigurandolo, il codice del petrarchismo; dall’altro lato, vedremo la sua capacità di fare propria e di rilanciare quella tradizione stessa, rappresentata dai classici che conosce profondamente e dagli istituti della poesia che mostra di governare con grande finezza, tenendo testa al modello di Petrarca.

 Cristina Campo su Gaspara Stampa 

Le Rime di Gaspara Stampa: commento di Edoardo Simonato


Un video su Gaspara Stampa  Il canto della salamandra d'oro, racconto su di lei,  di Lucia Guidorizzi)