Gianni Celati, Lo spirito della novella
Giorgio Agamben, Il fuoco e il racconto
Decameron, temi, struttura
DECAMERON - il testo completo
Proemio (ridotto)
Comincia il libo chiamato decameron, nel quale
Trasposizioni filmiche:
Maraviglioso Boccaccio (Taviani 2015) - scheda
Decameron (Pier Paolo Pasolini 1971)
http://www.letteraturaitalia.it/5-autori-e-opere-novecento/il-decameron-di-pasolini/
LISABETTA DA MESSINA
https://www.youtube.com/watch?v=wbZixW-foaQ
https://www.youtube.com/watch?v=ZfKRdziTRIE
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si contengono cento novelle in diece dí dette da
sette donne e da tre giovani uomini.
Umana cosa è l’avere compassione degli afflitti, e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richesto li quali giá hanno di conforto avuto mestiere ed hannol trovato in alcuni; tra li quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno o gli fu caro o giá ne ricevette piacere, io sono un di quegli.
Per ciò che, dalla mia prima giovanezza infino a questo tempo oltre modo essendo stato acceso d’altissimo e nobile amorea, forse piú assai che alla mia bassa condizione non parrebbe, narrandolo io, si richiedesse, quantunque appo coloro che discreti erano ed alla cui notizia pervenne io ne fossi lodato e da molto piú reputato, nondimeno mi fu egli di grandissima fatica a sofferire: certo non per crudeltá della donna amata, ma per soperchio fuoco nella mente concetto da poco regolato appetito, il quale, per ciò che a niun convenevole termine mi lasciava contento stare, piú di noia che bisogno non m’era spesse volte sentir mi facea. Nella qual noia tanto refrigerio giá mi porsero i piacevoli ragionamenti d’alcuno amico e le sue laudevoli consolazioni, che io porto fermissima oppinione, per quello essere addivenuto che io non sia morto.
[...]
E per ciò che la gratitudine, secondo che io credo, tra l’altre vertú è sommamente da commendare ed il contrario da biasimare, per non parere ingrato, ho meco stesso proposto di volere, in quel poco che per me si può, in cambio di ciò che io ricevetti, ora che libero dirmi posso, e se non a coloro che me aiutarono, alli quali per avventura per lo lor senno o per la loro buona ventura non abbisogna, a quegli almeno a’ quali fa luogo, alcuno alleggiamento prestare. [...]
E chi negherá, questo, quantunque egli si sia, non molto piú alle vaghe donne che agli uomini convenirsi donare? Esse dentro a’ dilicati petti, temendo e vergognando, tengono l’amorose fiamme nascose, le quali quanto piú di forza abbian che le palesi, coloro il sanno che l’hanno provato e pruovano: ed oltre a ciò, ristrette da’ voleri, da’ piaceri, da’ comandamenti de’ padri, delle madri, de’ fratelli e de’ mariti, il piú del tempo nel piccolo circúito delle loro camere racchiuse dimorano, e quasi oziose sedendosi, volendo e non volendo in una medesima ora, seco rivolgono diversi pensieri, li quali non è possibile che sempre sieno allegri. E se per quegli, mossa da focoso disio, alcuna malinconia sopravviene nelle lor menti, in quelle conviene che con grave noia si dimori, se da nuovi ragionamenti non è rimossa: senza che, elle sono molto men forti che gli uomini a sostenere; il che degl’innamorati uomini non avviene, sí come noi possiamo apertamente vedere. Essi, se alcuna malinconia o gravezza di pensieri gli affligge, hanno molti modi da alleggiare o da passar quello, per ciò che a loro, volendo essi, non manca l’andare
attorno, udire e veder molte cose, uccellare, cacciare o pescare, cavalcare, giucare e mercatare, de’ quali modi ciascuno ha forza di trarre, o in tutto o in parte, l’animo a sé e dal noioso pensiero rimuoverlo almeno per alcuno spazio di tempo, appresso il quale, o in un modo o in uno altro, o consolazion sopravviene o diventa la noia minore.
Adunque, acciò che per me in parte s’ammendi il peccato della fortuna, la quale dove meno era di forza, sí come noi nelle dilicate donne veggiamo, quivi piú avara fu di sostegno; in soccorso e rifugio di quelle che amano, per ciò che all’altre è assai l’ago, il fuso e l’arcolaio; io intendo di raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccontate in diece giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani nel pistilenzioso tempo della passata mortalitá fatta, ed alcune canzonette dalle predette donne cantate al lor diletto. Nelle quali novelle, piacevoli ed aspri casi d’amore ed altri fortunosi avvenimenti si vedranno cosí ne’ moderni tempi avvenuti come negli antichi; delle quali le giá dette donne che quelle leggeranno, parimente diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate ed utile consiglio potranno pigliare, e conoscere quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare: le quali cose senza passamento di noia non credo che possano intervenire. Il che se avviene, che voglia Iddio che cosí sia, ad Amore ne rendano grazie, il quale liberandomi da’ suoi legami m’ha conceduto di potere attendere a’ loro piaceri.
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Il lungo prologo alla prima giornata, che fornisce la cornice a tutta l’opera, esibisce una attenzione notevolissima per il mondo dei rapporti sociali e giuridici.10 Boccaccio infatti individua la conseguenza fondamentale della peste nell’avere determinato il collasso dell’ordine giuridico a Firenze e nel contado. La descrizione di questo collasso costituisce così l’elemento decisivo nella descrizione della peste, accanto agli aspetti medici che del resto erano un centro di interesse tanto immediato e ovvio da non potere quindi rappresentare una vera scelta da parte del narratore.11 Più in dettaglio, a causa della pestilenza sono venuti meno quelli che non vanno intesi semplicemente quali indicazioni in merito alle relazioni personali e familiari, ma precetti del diritto secondo la tradizione romana: la cura dei genitori e dei figli12 e l’osservanza dei riti funebri.13 Pampinea, descrivendo la situazione venutasi a determinare a Firenze e che motiva la scelta di fuggire dalla città, dà molto peso alla constatazione di come sia venuto meno l’ordine giuridico, espresso nell’autorità della legge 10 Decameron e nella sua osservanza da parte dei membri della comunità nonché nella capacità di garantire effettivamente la tenuta della pace e la stabilità dei rapporti sociali (da http://www.heliotropia.org/ )
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Il lungo prologo alla prima giornata, che fornisce la cornice a tutta l’opera, esibisce una attenzione notevolissima per il mondo dei rapporti sociali e giuridici.10 Boccaccio infatti individua la conseguenza fondamentale della peste nell’avere determinato il collasso dell’ordine giuridico a Firenze e nel contado. La descrizione di questo collasso costituisce così l’elemento decisivo nella descrizione della peste, accanto agli aspetti medici che del resto erano un centro di interesse tanto immediato e ovvio da non potere quindi rappresentare una vera scelta da parte del narratore.11 Più in dettaglio, a causa della pestilenza sono venuti meno quelli che non vanno intesi semplicemente quali indicazioni in merito alle relazioni personali e familiari, ma precetti del diritto secondo la tradizione romana: la cura dei genitori e dei figli12 e l’osservanza dei riti funebri.13 Pampinea, descrivendo la situazione venutasi a determinare a Firenze e che motiva la scelta di fuggire dalla città, dà molto peso alla constatazione di come sia venuto meno l’ordine giuridico, espresso nell’autorità della legge 10 Decameron e nella sua osservanza da parte dei membri della comunità nonché nella capacità di garantire effettivamente la tenuta della pace e la stabilità dei rapporti sociali (da http://www.heliotropia.org/ )
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ALCUNE NOVELLE
Chichibio cuoco (il testo da Zanichelli online) : Analisi
Calandrino e l'elitropia
Lisabetta da Messina . TESTO E TESTA; https://www.etimo.it/?term=testo
Ghismunda
Chichibio cuoco (il testo da Zanichelli online) : Analisi
Calandrino e l'elitropia
Lisabetta da Messina . TESTO E TESTA; https://www.etimo.it/?term=testo
Ghismunda
Trasposizioni filmiche:
Maraviglioso Boccaccio (Taviani 2015) - scheda
Decameron (Pier Paolo Pasolini 1971)
http://www.letteraturaitalia.it/5-autori-e-opere-novecento/il-decameron-di-pasolini/
LISABETTA DA MESSINA
https://www.youtube.com/watch?v=wbZixW-foaQ
https://www.youtube.com/watch?v=ZfKRdziTRIE
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Il mondo laico di Boccaccio
ROMA - Poteva nascere un grande
poema devozionale, una solenne composizione ascetica. E invece dalla peste che
nel 1348 a
Firenze uccise almeno metà dei suoi abitanti e in tutta Europa consumò milioni
di vite, venne fuori il Decameron, «che oppose alla logica della catastrofe
la propria logica ordinatrice e umanamente razionale», una lunga
riflessione sul destino terreno dell' uomo. Un inno alla vita resuscitata
attraverso l' arte, quella della parola e del racconto. Alberto Asor Rosa
guarda alle cento novelle che Giovanni Boccaccio raccolse distribuendole in
dieci giornate come a un atto fondativo dell' evo moderno. Ma prima di
immergersi nelle vicende di Ser Ciappelletto e di Frate Cipolla, di Landolfo
Rufolo e Andreuccio da Perugia, di Madonna Beritola, preferisce fermarsi sulla
soglia, su quella che sbrigativamente si chiamava "la cornice".
Vale a dire sull' espediente narrativo per cui dieci giovani, sette donne e tre
uomini, sfuggirono alla peste allontanandosi da Firenze e riparando in
campagna, in un luogo di serenità e di raccoglimento, che Boccaccio descrive
con tale minuzia e sfogo di piacevolezze, da non apparire come puro elemento
esornativo. Qui, «sopra una piccola montagnetta, da ogni parte lontano alquanto
alle nostre strade, di vari albuscelli e piante tutte di verdi fronde ripiene»,
la brigata allestisce una comunità dedita al racconto, e all' ascolto, di
novelle.
Cominciamo dalla peste,
professor Asor Rosa. Quanto è importante per Boccaccio? «è decisiva, intanto
per la sua biografia. Muoiono alcuni amici, da Matteo Frescobaldi a Giovanni
Villani. E forse suo padre, Boccaccino di Chelino. Nelle parole che Boccaccio
usa per descriverla si sente l' eco di una sofferta esperienza personale: la
peste segna la fine di una fase sperimentale e lo immerge nella stesura del
Decameron».
E quanto è importante per il
Decameron? «La catastrofe produce l' opera. Non bisogna pensare a un riflesso
meccanico. Boccaccio sprofonda in quella tragedia e ad essa reagisce con un
gigantesco atto creativo che si oppone a quel gigantesco spettacolo di morte».
Come procede questa
"opposizione"? «Ricostruendo l' ordine civile che il morbo ha
spazzato via. La brigata si organizza come una monarchia costituzionale.
Ogni giorno, a rotazione, vengono nominati un re o una regina, i quali
propongono il tema cui i giovani devono attenersi nelle loro novelle. Il
sovrano è un primus inter pares che detta anche regole di comportamento. Ecco
l' embrione di una società che rinasce». Una società laica, par di capire.
«Certamente. L' universo di Boccaccio non fa alcun riferimento al sovramondo.
Nella risposta alla catastrofe prevale l' ordinamento civile. La prima regina
prescelta, Pampinea, spiega che "le cose che sono senza modo non possono
lungamente durare". E i comportamenti che vengono imposti alla brigata,
persino la cura dell' igiene, che viene insistentemente descritta, rispondono
al rituale di un' eleganza mondana, ma esprimono anche un' esaltazione degli
elementi fisici, corporali». Un Boccaccio attento alla materialità e non alla
spiritualità del vivere. Eppure gli elementi cardine della sua religiosità non
sono discutibili. O sbaglio? «Il tema è controverso. Boccaccio non è certo un
materialista, ma direi che la sua fede è tutta ispirata a un ritorno
evangelico. La polemica antiecclesiastica si inscrive in un orizzonte
riformatore e percorre il Decameron da cima a fondo. Nelle novelle si racconta
di frati immorali e concupiscenti, ignoranti e grossolani. Altre volte sono
investite intere comunità, gli ordini predicatori, per esempio. Ma, a parte i
casi specifici, che hanno rilievo anche per l' effetto comico e beffardo che
producono, è l' intero universo antropologico di Boccaccio dominato da altri
elementi e non dalla religione». Quali elementi? «La Fortuna, per
esempio. è la vera padrona dei destini umani. Prenda le novelle della seconda
giornata: del tutto indipendentemente dall' inizio della narrazione, che può
essere la stupidità del protagonista o la sua completa passività, interviene un
evento imprevedibile che modifica radicalmente il corso dell' azione». E questo
che rilievo ha nell' ideologia boccacciana? «Quello che Boccaccio rappresenta è
un mondo perennemente a rischio, precario, incerto, che non è possibile
ancorare, come quello di Dante, a un sistema religioso. Boccaccio mette i suoi
personaggi a battagliare dentro un vuoto di principi e di valori». La Fortuna è
però tema profondamente medioevale, dantesco e petrarchesco. «Indubbiamente. Ma
in Boccaccio c' è una spinta in avanti per superare l' idea che ci si debba
sempre appellare alla divinità per spiegare il mondo...». Che invece? «Che
invece è un terreno di conflitto, retto dall' accidentalità. è fuor di luogo
recuperare vecchie contrapposizioni fra "medioevale" e
"moderno". Però non ci si può nascondere quanto Boccaccio precorra
elementi della mentalità moderna: mi vado sempre più convincendo che dall'
autore del Decameron fino a Machiavelli e ad Ariosto si sviluppi in Italia un
lungo percorso di concezioni del mondo, una specie di macrosistema
intellettuale che si concentra sull' impossibilità di ricondurre le cose
umane dentro un ordine sicuro e prestabilito». è in questa prospettiva che
Boccaccio sottolinea la forza della Natura, l' impossibilità di sottrarsi ai
suoi impulsi? «Direi di sì. Boccaccio usa il termine Natura per indicare sia
il temperamento di un singolo personaggio, sia la forza ordinatrice dei
comportamenti umani. I suoi protagonisti agiscono sotto l' impulso dei
grandi agenti naturali, anche a prezzo di veder poco approfondite le loro
psicologie. Sono animati da passioni intese in una compattezza originaria: l'
amore, l' odio, la vendetta. "Amor può troppo più che né voi né io
possiamo", dice Guiscardo, l' amante di Ghismunda, nella novella che apre
la giornata dedicata agli amori finiti tragicamente». E l' amore ha una specie
di primato fra le forze naturali? «Anche se non è la sola, è la più soggetta di
altre all' influenza della Natura. L' eros ha una preminenza assoluta nel
Decameron: più di settanta delle cento novelle toccano il soggetto amoroso. E
Boccaccio rappresenta tutti i gradini della passione e della pratica erotica,
il "naturale appetito", il "carnale appetito". Di fronte al
godimento d' amore cede il passo ogni altra legge o regola». Per esempio?
«Prenda la piccola novella inserita da Boccaccio nell' introduzione alla quarta
giornata. Quella in cui il giovane, vissuto sempre in una specie di eremo a
ragionare solo di santi e di orazioni, arriva con il piissimo padre a Firenze.
Qui il giovane vede per la prima volta un gruppo di donne e chiede al padre chi
siano. "Elle si chiamano papere", risponde il padre. E il ragazzo,
travolto da una voglia istintiva, per esprimere la quale non conosce neanche le
parole giuste, replica: "Fate che noi ce ne meniamo una colà su, di queste
papere, ed io le darò beccare"». E questa raffigurazione si spinge fino al
punto di attirarsi l' accusa di oscenità? «Non mi sono mai posto il problema
dell' oscenità di Boccaccio. L' eros, in qualsiasi forma venga rappresentato,
anche in quella più esplicita, non ha nulla dell' allusività perversa tipica
dell' osceno». Eppure su Boccaccio quest' accusa è a lungo gravata. O no? «A un
livello di lettura molto superficiale. Non è un caso che la condanna inferta
dalla Chiesa nel tardo Cinquecento abbia prodotto edizioni purgate, ma non
tanto delle novelle più erotiche, quanto di quelle in cui i religiosi vengono
fatti a pezzi».
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IL DECAMERON DETTA LEGGE
“Il Sole 24 ore”, 8 Settembre 2024
Boccaccio riletto. Justin Steinberg, in un saggio di grande fascino e molto ben congegnato, rivede il capolavoro alla luce delle profonde conoscenze sociali, giuridiche ed economiche dell’autore
Stefano Jossa
Calandrino è l’antieroe del Decameron. Se lo ricordano tutti coloro che l’hanno incontrato a scuola almeno una volta: ingannato da Maso, Bruno e Buffalmacco, si convince che l’elitropia dia l’invisibilità, pensa di averla trovata, si becca le sassate dei poco simpatici compagni d’avventura e picchia la moglie per aver rovinato l’incantesimo. È lo sciocco per eccellenza, il bersaglio di una beffa magistrale, pienamente meritata a causa della sua ignoranza; ma se la sua colpa non fosse solo la stupidità? Lo suggerisce Justin Steinberg in un libro ben congegnato, dove Calandrino diventa il paradigma del parvenu di provincia che è prima di tutto proteso verso il proprio utile immediato, estraneo a ogni idea di bene comune e cittadinanza consapevole: attraverso di lui Boccaccio avrebbe messo in scena la difficoltà di educare i campagnoli inurbati alla legge come superamento dell’individualismo.
Tutto il libro di Boccaccio, spiega Steinberg, è infatti intriso di rapporti di forza che rispondono a meccanismi economici e giuridici. Quello che di recente è stato definito the most networked man of the Middle Ages (l’uomo più connesso del Medioevo, da Stephen Milner nel Cambridge Companion to Boccaccio) era stato in effetti lui stesso prima uno studente e poi un uomo di legge, con le tante cariche pubbliche assunte dopo il ritorno a Firenze; ma della sua pratica giuridica poco sembra esserci nel suo capolavoro. È invece presente, suggerisce Steinberg, la sua consapevolezza del diritto, come strumento fondante delle relazioni personali e civili nella società del suo tempo: fino a che punto il suo (come il nostro) modo di pensare è permeato di cultura giuridica?
Per uno scrittore che si proponeva di rappresentare le dinamiche sociali del suo tempo diritto ed economia erano non solo imprescindibili, ma fondativi: nel senso che tutto è concepito in termini giuridici ed economici, in quanto le relazioni sono regolate dalla legge e le misure definite dall’economia. È perciò, per esempio, che il corpo della donna, al di là delle presunte rivendicazioni femministe o tentazioni misogine, appare sempre come una merce, oggettificato anziché restituito al soggetto: solo così si capisce perché Bartolomea, la donna sposata a un giudice che non riesce a darle soddisfazione e rapita da un pirata che le attribuisce finalmente il suo valore, e Madonna Filippa, la donna colta in flagrante adulterio e capace di spiegare alla corte che il suo surplus di potenza sessuale non poteva andare sprecato, più che icone di un antistorico protofemminismo, sono prima di tutto protagoniste di una rivoluzione culturale che sa valutare i beni sulla base del loro valore d’uso e della loro produttività.
Il caso più clamoroso è quello di Masetto da Lamporecchio, che si finge sordomuto per essere assunto come ortolano nel giardino di un convento, ma viene sorprendentemente abusato da tutte le suore della comunità. Tradizionalmente concepita come novella antireligiosa, capace di contrapporre la legge della natura alla legge di Dio, alla luce dell’analisi di Steinberg la storia si rivela investita di una profonda valenza giuridica ed economica: Masetto è il lavoratore che si guadagna da vivere con la sola forza delle braccia, capace di trasformarsi da subordinato a salariato fino a divenire imprenditore di sé stesso. A giustificare queste letture Steinberg fa convergere la conoscenza approfondita del diritto romano e del diritto canonico con la storia dei processi economici e politici della società medievale: tutt’altro che una generica allegoria politica, volta alla rifondazione della comunità su base naturale dopo la catastrofe della peste, il Decameron si rivela un consapevole e progettuale modello di costruzione di un nuovo modo di pensare e rappresentare la realtà.
Se tutto va discusso, come in un processo, confrontando testimonianze, opinioni e interpretazioni divergenti, il libro stesso andrà messo sotto processo, come Boccaccio in effetti fa, tanto nell’Introduzione alla IV giornata quanto nella Conclusione: processo che fa entrare la cultura giuridica fin dentro la concezione poetica dell’opera letteraria, perché la verità è procedurale piuttosto che fattuale. Sta cioè nella capacità dell’autore di convincere i lettori, perché tutto è soggetto al confronto delle argomentazioni.
Nel combinato disposto tra potere della parola e pervasività del diritto, il Decameron si rivela, nella sua medievalità, che Steinberg non si stanca mai di rimarcare, un’apertura verso altre direzioni finora trascurate: un manuale per gli avvocati, nutriti di economia e di letteratura per discutere della posizione degli esseri umani nel contesto che è loro proprio, che è quello politico. Un libro fondamentale per chi voglia rileggere il capolavoro di Boccaccio non solo come opera genericamente divertente o persino pornografica, come spesso avviene, ma come presa di coscienza della realtà, fatta, allora come ora, di cultura giuridica e materia economica.
Boccaccio riletto. Justin Steinberg, in un saggio di grande fascino e molto ben congegnato, rivede il capolavoro alla luce delle profonde conoscenze sociali, giuridiche ed economiche dell’autore
Stefano Jossa
Calandrino è l’antieroe del Decameron. Se lo ricordano tutti coloro che l’hanno incontrato a scuola almeno una volta: ingannato da Maso, Bruno e Buffalmacco, si convince che l’elitropia dia l’invisibilità, pensa di averla trovata, si becca le sassate dei poco simpatici compagni d’avventura e picchia la moglie per aver rovinato l’incantesimo. È lo sciocco per eccellenza, il bersaglio di una beffa magistrale, pienamente meritata a causa della sua ignoranza; ma se la sua colpa non fosse solo la stupidità? Lo suggerisce Justin Steinberg in un libro ben congegnato, dove Calandrino diventa il paradigma del parvenu di provincia che è prima di tutto proteso verso il proprio utile immediato, estraneo a ogni idea di bene comune e cittadinanza consapevole: attraverso di lui Boccaccio avrebbe messo in scena la difficoltà di educare i campagnoli inurbati alla legge come superamento dell’individualismo.
Tutto il libro di Boccaccio, spiega Steinberg, è infatti intriso di rapporti di forza che rispondono a meccanismi economici e giuridici. Quello che di recente è stato definito the most networked man of the Middle Ages (l’uomo più connesso del Medioevo, da Stephen Milner nel Cambridge Companion to Boccaccio) era stato in effetti lui stesso prima uno studente e poi un uomo di legge, con le tante cariche pubbliche assunte dopo il ritorno a Firenze; ma della sua pratica giuridica poco sembra esserci nel suo capolavoro. È invece presente, suggerisce Steinberg, la sua consapevolezza del diritto, come strumento fondante delle relazioni personali e civili nella società del suo tempo: fino a che punto il suo (come il nostro) modo di pensare è permeato di cultura giuridica?
Per uno scrittore che si proponeva di rappresentare le dinamiche sociali del suo tempo diritto ed economia erano non solo imprescindibili, ma fondativi: nel senso che tutto è concepito in termini giuridici ed economici, in quanto le relazioni sono regolate dalla legge e le misure definite dall’economia. È perciò, per esempio, che il corpo della donna, al di là delle presunte rivendicazioni femministe o tentazioni misogine, appare sempre come una merce, oggettificato anziché restituito al soggetto: solo così si capisce perché Bartolomea, la donna sposata a un giudice che non riesce a darle soddisfazione e rapita da un pirata che le attribuisce finalmente il suo valore, e Madonna Filippa, la donna colta in flagrante adulterio e capace di spiegare alla corte che il suo surplus di potenza sessuale non poteva andare sprecato, più che icone di un antistorico protofemminismo, sono prima di tutto protagoniste di una rivoluzione culturale che sa valutare i beni sulla base del loro valore d’uso e della loro produttività.
Il caso più clamoroso è quello di Masetto da Lamporecchio, che si finge sordomuto per essere assunto come ortolano nel giardino di un convento, ma viene sorprendentemente abusato da tutte le suore della comunità. Tradizionalmente concepita come novella antireligiosa, capace di contrapporre la legge della natura alla legge di Dio, alla luce dell’analisi di Steinberg la storia si rivela investita di una profonda valenza giuridica ed economica: Masetto è il lavoratore che si guadagna da vivere con la sola forza delle braccia, capace di trasformarsi da subordinato a salariato fino a divenire imprenditore di sé stesso. A giustificare queste letture Steinberg fa convergere la conoscenza approfondita del diritto romano e del diritto canonico con la storia dei processi economici e politici della società medievale: tutt’altro che una generica allegoria politica, volta alla rifondazione della comunità su base naturale dopo la catastrofe della peste, il Decameron si rivela un consapevole e progettuale modello di costruzione di un nuovo modo di pensare e rappresentare la realtà.
Se tutto va discusso, come in un processo, confrontando testimonianze, opinioni e interpretazioni divergenti, il libro stesso andrà messo sotto processo, come Boccaccio in effetti fa, tanto nell’Introduzione alla IV giornata quanto nella Conclusione: processo che fa entrare la cultura giuridica fin dentro la concezione poetica dell’opera letteraria, perché la verità è procedurale piuttosto che fattuale. Sta cioè nella capacità dell’autore di convincere i lettori, perché tutto è soggetto al confronto delle argomentazioni.
Nel combinato disposto tra potere della parola e pervasività del diritto, il Decameron si rivela, nella sua medievalità, che Steinberg non si stanca mai di rimarcare, un’apertura verso altre direzioni finora trascurate: un manuale per gli avvocati, nutriti di economia e di letteratura per discutere della posizione degli esseri umani nel contesto che è loro proprio, che è quello politico. Un libro fondamentale per chi voglia rileggere il capolavoro di Boccaccio non solo come opera genericamente divertente o persino pornografica, come spesso avviene, ma come presa di coscienza della realtà, fatta, allora come ora, di cultura giuridica e materia economica.