lunedì 26 novembre 2018

Dostoevskij LE NOTTI BIANCHE

- Pietroburgo per la sua latitudine è interessata dal fenomeno delle notti boreali, "bianche", tra fine maggio e fine giugno: la luce è ininterrotta dall'alba alle dieci di sera.


-Pietroburgo ha bellissimi palazzi costruiti da architetti italiani e si affaccia con molti ponti sulla Neva. L'acqua aumenta l'effetto luminoso.




Due anime si parlano dal profondo, senza mai essersi viste prima, come si conoscessero da sempre. Tutto inizia e finisce in quattro notti bianche, nella magia di una Pietroburgo deserta. Un uomo e una donna si incontrano: lui è un sognatore, di ritorno dai suoi vagabondaggi notturni per la città; lei, dall’altra parte della strada, è immobile, appoggiata a un parapetto, e piange. Tutto avverrà in quella panchina e in quello scorcio di canale: il rapporto che nascerà tra loro due sarà tra i più lirici di tutta la letteratura, immune da ogni sentimentalismo, da ogni contraffazione. E se alla fine verrà un giorno di pioggia a rompere l’incanto, nulla di ciò che è stato fatto o soltanto immaginato potrà più svanire.
Secondo Erri De Luca, Dostoevskij “scrive a bassa voce”, ma “rende eroico il più misero soggetto e trascina il lettore di Notti bianche nell’azzardo di un amore notturno tra due creature piccole e grandiose. Si tengono le mani e affidano a quelle gli abbracci promessi”.
C’è qualcosa di insolito in questo racconto, di insospettabilmente chiaro: lo spazio del cielo è grande sopra una città inconsueta, rarefatta e radiosa. La magia notturna della primavera nordica si fa protagonista e diventa il regno della possibilità. Tutto allora può accadere, anche un incontro fatale che sembra sognato o un sogno che prende l’aspetto della realtà. Così si congeda il tormentato, sensibilissimo sognatore dostoevskijano: “Un intero minuto di felicità! È forse poco sia pure in tutta la vita di un uomo?”.

"Ho letto Notti bianche di Dostoevskij in due età diverse.
Prima nell’adolescenza: aveva forza di suggestione, trasmetteva la temperatura amorosa di un ragazzo mite e perciò infiammabile. Faceva presa su di me appena più giovane dell’io narrante, ma senza forza di trascinamento. Non mi spingeva fuori casa per andare incontro alle notti bianche di una città, San Pietroburgo, che presto avrebbe cambiato nome in città di Vladimir Ilic: Leningrad. Il racconto di Dostoevskij però mi teneva sveglio, mi faceva aprire la finestra per guardare il cielo di notti che stavo perdendo, chiuso in casa.
Altre voci, altre pagine mi avrebbero trascinato lontano dalla stanza. Venivano dall’ovest, dalla voce di gesso su lavagna di Bob Dylan che chiamava in strada perchè «The times they are ’a changing».
Annunciava un tempo accelerato che sovvertiva ogni gerarchia «perchè il primo di adesso sarà l’ultimo presto». Un ragazzo di notte faceva e disfaceva il suo fagotto di fuga dopo avere letto cogli occhi e coi polmoni Sulla strada di Kerouac.
Quell’ovest chiamava fuori, incontro alle sue notti bianche.

Poi ho riletto lentamente in russo il racconto, nei miei cinquant’anni. Gli scrittori, i poeti mi hanno istigato la caccia alle grammatiche e agli alfabeti, per andarli a stanare nella loro lingua. È stato il mio modo di visitare il mondo, i vocabolari mi hanno aiutato più della geografia. Sapere che notte in russo è noc’ e pronunciarla in una notte di maggio alla finestra di albergo di una città bombardata dalla Nato. Belgrado di maggio del ’99, sventrata da missili e ordigni partiti da piste italiane: restavo affacciato, ero lì da solo e da contrario, per stare col bersaglio. Ricordavo in russo i versi di Osip Mandel’stam:«Eta noc’ nepopravima», questa notte è irreparabile, «a uvas ieshò svietlò», e da voi è ancora chiaro.
Erano notti bianche, ma non quelle di Dostoevskij in San Pietroburgo col cielo calato a carezzare l’acqua della Neva. Il cielo sopra Belgrado precipitava in fiamme nel Danubio e nella Sava, che lì si congiungono. A valle il polo chimico di Pancevo, sfondato dai colpi scaricava la sua materia avvelenando il fiume fino al Mar Nero.
In russo Dostoevskij è più misterioso, la sua prosa scorre sotto arcate di ponti, spinge al cammino di notte il 'mechtàtiel', il ragazzo visionario che si è innamorato a vuoto. Amo il suo eroe imperterrito, disposto al sacrificio personale per sgomberare il campo alla felicità altrui.
Esistono nella vita simili persone pronte a cedere il passo e l’avvenire. In letteratura sono la variante inerme di Chisciotte, al cinema hanno la faccia di Buster Keaton.
Per strada li riconosci dal fatto che guardano giù in terra o dritto in cielo.


L'effimero, l'eterno. Le notti bianche
di Simonetta Caminiti

Il suo protagonista non ha nome né storia: scopriremo con lui che avere una storia (e quindi una vita) significa condividere il proprio tempo rigorosamente per mezzo della parola, con qualcun altro. 
Egli è un sognatore. Comunica con la sua Pietroburgo umanizzando anche i suoi più piccoli dettagli, ma sempre inosservato e inascoltato: vive di fantasia allo stato puro, e nel contesto storico che meglio precisa la sua inettitudine.
Almeno finché non appare Nasten’ka, fanciulla di bellezza disarmante, ma che, soprattutto, libera in lui la forza dell’affabulazione. Nasten’ka è la sua controparte femminile: è sola, priva di esperienza del mondo, è intelligente ed i suoi sono sentimenti elevati e fervidi come la dolce primavera russa. È però appena più civettuola e sicura delle proprie attrattive (per salvarla dalle brame di un malintenzionato, al principio della storia, il protagonista svela forse il primo atto davvero “corporeo” di tutta la sua vita). 
Si connotano perfettamente, quindi, due archetipi senza tempo: l’ambigua ingenuità di una giovane donna, e la sensibilità rarefatta, costellata di immagini, del suo interlocutore; il quale, per quattro notti della sua vita, si rivela a lei nella sua natura umana, finalmente ancorata alla realtà attraverso un amore folgorante. Ma Nasten’ka vive nell’attesa che “da molto lontano” torni il solo uomo dei suoi desideri. E sarà la sua favola l’unica a realizzarsi.
Dio mio! Un minuto intero di beatitudine! È forse poco per colmare la vita di un uomo?
Questo è l’interrogativo con cui ci lascia stavolta Dostoevkij, maestro di inquisizioni che discendono spessissimo da intrecci più lunghi e complicati di questo. È curioso – ma sul serio? – che non faccia mai proferire a Nasten’ka il  semplice desiderio di conoscere il nome del suo amico. Un personaggio senza nome non lascia traccia della sua identità; quasi lo immaginiamo invisibile, e quasi rappresentativo di un genere d’umanità presente nel nostro mondo quanto lo è l’ossigeno: l’individuo che solo in apparenza non discerne il confine tra sogno e vissuto concreto: l’individuo che si reinventa, che di un nome o di qualcuno che glielo chieda, in fondo, non ha neppure bisogno. Una figura di estensione pari a quelle del teatro greco, o magari dei copioni di Lorca, giacché essi pure non rispondono ai dettami di un universo politico quanto a quelli dell’anima, e del dramma che sono impegnati a inscenare nella loro solitudine per tutta la vita. 

BIOGRAFIA DELLO SCRITTORE:
https://it.wikipedia.org/wiki/F%C3%ABdor_Dostoevskij

TITOLO: Notti Bianche
AUTORE: Fëdor Michajlovic Dostoevskij
ANNO DI PUBBLICAZIONE: Dicembre 1848
TEMPO: XIX secolo
LUOGO: Russia, Pietroburgo
TRAMA: Il libro ha come personaggi principali un ragazzo di ventisei anni, di cui l' autore non indica il nome, e una ragazza, Nasten'ka, di diciassette anni.

"Arrestato nel 49 e condannato a morte, graziato solo in un ultimo momento davanti al patibolo, Dostoevskij non scriverà più nulla di così limpido e disteso. Però, — sta bene tenerlo a mente — nonostante l’aura che in questo racconto si percepisce, questo non è un romanzo da leggersi tanto per trascorrere qualche ora spensierata; impossibile tenersi al di fuori della storia; ci si sta dentro, ci si vive, si passeggia per i vicoli luminescenti delle notti di maggio con il protagonista/sognatore, ci si trasforma — grazie alla forma carica di pathos — in sognatori. La storia si svolge in cinque notti, il teatro è la splendida Pietroburgo (rarefatta e radiosa per l’occasione), che, con l’esplodere della primavera e il dileguarsi dei suoi abitanti, si presenta agli occhi illuminati del protagonista come un fantasmagorico deserto" (da http://www.kasparhauser.net/)